ENI
continua a dimostrare di essere il principale vettore per un’azione politico economica
italiana libera dagli schemi atlantici, volta in direzione dell’Eurasia e dei
BRICS. Dello spirito gagliardo del “cane a sei zampe” di “matteiana” memoria
non è rimasto molto, tuttavia ENI è ancora oggi un colosso nazionale capace di
muoversi sullo scenario mondiale – pur tra numerosi ostacoli, interni ed esterni,
compromessi e cedimenti alle ingiunzioni euro-atlantiche – con un certo grado
di autonomia, stringendo alleanze e collaborazioni con paesi non-allineati
all’Occidente come Venezuela, Russia, Kazakhstan e Cina, tenendo aperta una
fondamentale porta per una politica nazionale orientata in senso multipolare.
Un “cane” pertanto non ancora addomesticato ai voleri nordatlantici e che
rimane una delle risorse economiche trainanti della nazione proprio per questa
sua “selvatichezza”, sempre più necessaria in un mondo di giorno in giorno più
dinamico e multipolare. Per quanto tempo ancora ENI riuscirà a mantenere questo
carattere non è dato sapere, anche se gli sviluppi recenti non fanno presagire
niente di buono: dalle inchieste giudiziarie ad orologeria alle interessate
pressioni degli ambienti euroatlantici per la cessione di Saipem, da
un’opinione pubblica avversa eterodiretta con i temi del giustizialismo e dell’anti-industrialismo
alle pulsioni ecoterrorriste di associazioni e gruppi eversivi e, soprattutto,
per la continua assenza di un ceto politico nazionale autonomista capace di
fare da scudo e di attuare in modo solido e continuativo un gioco di sponda con
le scelte strategiche del management.
La sorte
di ENI sembra parallela a quelle delle poche altre grandi aziende
semi-pubbliche italiane, in primis Finmeccanica. Se per quest’ultima però le
manovre tese a mantenerla dentro un politicamente rassicurante – ma
economicante disastroso – perimetro d’azione commerciale euroatlantico sembrano
avere ottenuto gli effetti desiderati, non si può ancora dire la stessa cosa
per ENI, anche se entrambe lavorano in settori sensibili e strategici. E’
evidentemente decisiva in tal senso la direzione aziendale di ENI che, a
differenza di quella di Finmeccanica, è ancora capace di esprimere una certa
dose di forza, autonomia e continuità di vedute, pur in presenza di un quadro
politico italiano inerte se non apertamente ostile.
Il recente
annuncio di Paolo Scaroni dell’accordo raggiunto con la
China National Petroleum Corporation si inserisce all’interno di questo
complesso quadro. Con il ceo Zhou Jiping di Petrochina Company Limited, società
controllata da CNPC, è stato firmato un accordo per la vendita del 28,57% delle
azioni della società Eni East Africa, titolare del 70% della partecipazione
nell’Area 4, nell’offshore del Mozambico, in Africa, dove si trovano alcuni dei
più
importanti giacimenti mai scoperti da ENI nella sua storia.
Contestualmente,
ENI e CNPC hanno firmato un joint study agreement per la cooperazione
finalizzata allo sviluppo del blocco a shale gas Rongchang, che si estende per
circa 2.000 chilometri quadrati nel Sichuan Basin, in Cina. E’ un accordo di
mutuo vantaggio. L’ingresso nel gas non convenzionale in Cina rappresenta
un’enorme opportunità di business per l’azienda italiana, dato l’incredibile
sviluppo che sta attravendo il grande paese asiatico affamato di energia.
Dall’altra parte, lavorare con ENI in Africa permette alla CNPC di sfruttare i posizionamenti
italiani per consolidare ed ampliare la propria penetrazione nel continente. La
Cina è alla ricerca di sempre nuove fonti energetiche per sostenere i suoi alti
tassi di sviluppo e la partnership con i paesi dell’Africa è considerata di
fondamentale importanza in questo senso. Pechino ha d’altronde un modus
operandi con questi paesi diamentralmente opposto alle prassi
colonialiste e neocolonialiste che contraddistinguono numerosi paesi
occidentali, permettendole di essere ben vista dalle popolazioni locali; una
prassi che ricorda molto da vicino quella incarnata da Enrico Mattei – che ha
improntato il lavoro dell’azienda italiana per tantissimi anni – e che potrebbe
essere un ulteriore punto di contatto per ampliare la collaborazione tra le due
realtà aziendali in altri paesi del continente africano.
Aiutare la
penetrazione cinese in Africa – così come è stato fatto con la Russia attraveso
Gazprom – non è certamente in linea con la strategia occidentale volta al contenimento
della
Repubblica Popolare nel continente. Questa alleanza tra ENI e CNPC rappresenta
pertanto un ulteriore “peccato” commesso dall’azienda di San Donato Milanese,
anche se le è economicamente molto vantaggioso con proficue ricadute per tutto
il sistema-Italia; come e quando dovrà essere “lavato” questo peccato lo
vedremo nel prossimo futuro sulla pelle di tutti quegli italiani che fanno sempre
più fatica ad arrivare alla fine del mese.
Michele Franceschelli
Articolo originariamente
pubblicato sul giornale on-line 'Stato e Potenza'