L’assassinio di Enrico Mattei il 27 ottobre del 1962 è stato messo in atto da quei centri di potere atlantici che non potevano tollerare un’azione come quella del fondatore dell’ENI volta unicamente all’indipendenza e al bene della nazione. Quegli stessi centri di potere sono ancora oggi i padroni dei destini d’Italia. Ricordare il martirio di Mattei vuol dire non solo rendere omaggio ad un grande italiano morto per amore della nazione, ma significa rilanciare nell’oggi la sua lotta per la sovranità nazionale e per l’indipendenza del continente europeo dagli Stati Uniti d’America.
Il “segreto di Pulcinella” di Bascapè
Il “segreto di Pulcinella” di Bascapè
Il 27 ottobre del 1962 moriva tragicamente nei pressi di Bascapè, vicino a Milano, il fondatore dell’ENI Enrico Mattei. Fu subito propagandata la tesi dell’incidente aereo dovuto alle cattive condizioni meteo e al concorso di cause fortuite. Nei decenni a seguire insabbiamenti, depistaggi, intimidazioni ed omicidi avrebbero messo a tacere chiunque avesse cercato di ottenere la verità sulle reali dinamiche e sui mandanti di un “incidente” che aveva liquidato dalla scena nazionale “l’italiano più importante dopo Giulio Cesare”, un italiano che amava la sua Patria, che la voleva forte ed indipendente e che per questo motivo era odiatissimo fuori e dentro la nazione da tutti coloro che pensavano all’Italia come ad una terra di servi, di conquista e sfruttamento.
Sarebbero dovuti passare più di 40 anni perché la magistratura italiana riuscisse almeno a chiarire i fatti della tragica notte di Bascapè, ovvero che quella sera non si trattò di un incidente ma di un sabotaggio, di un attentato. Nel 2003 infatti le indagini svolte dal coraggioso Pm di Pavia Vincenzo Calia permisero di “ritenere inequivocabilmente provato che l’I-SNAP (l’areo sul quale viaggiava Mattei) precipitò a seguito di una esplosione limitata, non distruttiva, verificatasi all’interno del velivolo”; l’aereo di Mattei fu quindi dolosamente abbattuto con una “carica esplosiva, equivalente a circa cento grammi di Compound B che fu verosimilmente sistemata dietro il cruscotto dell’aereo, a una distanza di circa 10-15 centimetri dalla mano sinistra di Enrico Mattei, e probabilmente fu innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei suoi alloggiamenti. (…) E’ infatti provato che l’esplosione si verificò durante il volo e non in coincidenza o dopo l’impatto col suolo; che il serbatoio, i motori e la bombola d’ossigeno non esplosero” (1).
L’indagine di Calia si chiudeva però con l’archiviazione per quanto riguardava esecutori e mandanti.
Se solo dopo 40 anni la giustizia italiana era quindi riuscita a svelare il “segreto di Pulcinella” dell’attentato e delle sue dinamiche grazie alla testardaggine di un solitario Pm di provincia, non sarebbe d’altronde stato sensato aspettarsi di più da un organo strutturalmente impotente – come la magistratura italiana – ad indagare a fondo su quei centri di potere occulti, nati sulle macerie della sconfitta nella seconda guerra mondiale e sull’occupazione della penisola da parte degli Stati Uniti d’America, che hanno fatto il bello e il cattivo tempo in Italia a partire dal 1947 a Portella della Ginestra e che a tutt’oggi sono al comando nella nostra nazione, e al cui interno si trovano i segreti, i mandanti e gli esecutori dell’attentato contro Mattei e delle stragi che hanno insanguinato l’Italia per decenni.
Bascapè: un monito imperituro contro chi ama l’Italia e si vuole ribellare
Sarebbero dovuti passare più di 40 anni perché la magistratura italiana riuscisse almeno a chiarire i fatti della tragica notte di Bascapè, ovvero che quella sera non si trattò di un incidente ma di un sabotaggio, di un attentato. Nel 2003 infatti le indagini svolte dal coraggioso Pm di Pavia Vincenzo Calia permisero di “ritenere inequivocabilmente provato che l’I-SNAP (l’areo sul quale viaggiava Mattei) precipitò a seguito di una esplosione limitata, non distruttiva, verificatasi all’interno del velivolo”; l’aereo di Mattei fu quindi dolosamente abbattuto con una “carica esplosiva, equivalente a circa cento grammi di Compound B che fu verosimilmente sistemata dietro il cruscotto dell’aereo, a una distanza di circa 10-15 centimetri dalla mano sinistra di Enrico Mattei, e probabilmente fu innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei suoi alloggiamenti. (…) E’ infatti provato che l’esplosione si verificò durante il volo e non in coincidenza o dopo l’impatto col suolo; che il serbatoio, i motori e la bombola d’ossigeno non esplosero” (1).
L’indagine di Calia si chiudeva però con l’archiviazione per quanto riguardava esecutori e mandanti.
Se solo dopo 40 anni la giustizia italiana era quindi riuscita a svelare il “segreto di Pulcinella” dell’attentato e delle sue dinamiche grazie alla testardaggine di un solitario Pm di provincia, non sarebbe d’altronde stato sensato aspettarsi di più da un organo strutturalmente impotente – come la magistratura italiana – ad indagare a fondo su quei centri di potere occulti, nati sulle macerie della sconfitta nella seconda guerra mondiale e sull’occupazione della penisola da parte degli Stati Uniti d’America, che hanno fatto il bello e il cattivo tempo in Italia a partire dal 1947 a Portella della Ginestra e che a tutt’oggi sono al comando nella nostra nazione, e al cui interno si trovano i segreti, i mandanti e gli esecutori dell’attentato contro Mattei e delle stragi che hanno insanguinato l’Italia per decenni.
Bascapè: un monito imperituro contro chi ama l’Italia e si vuole ribellare
L’istintivo collettivo della nostra nazione sa che Mattei è stato “fatto fuori”, tolto di mezzo da quei poteri che nel loro servilismo e nella loro meschinità, oggi come ieri, non tollerano quegli uomini eccezionali che ogni tanto il destino fa nascere sulla nostra Patria, dotati di grandi capacità e determinazione, di un senso morale profondo (niente in comune con il peloso moralismo/giustizialismo degli ultimi vent’anni) sulla missione e sul dovere di redimerla, liberarla dalla servitù e farla grande, rompendo i marci equilibri esistenti.
Sintomatico del suo stato di sottomissione e decadenza morale, il popolo italiano continua però a intendere la morte di Mattei come qualcosa d’ineluttabile e necessaria, essendosi il fondatore dell’ENI fatalmente ribellato contro dei poteri percepiti come eterni e onnipotenti, così come ineluttabile e necessaria continua ad essere sentita l’odierna sottomissione del nostro paese agli Stati Uniti d’America e oggetto d’incomprensione e d’ironia chiunque cerchi di ribellarsi a questo stato di fatto, non comprendendo o facendo finta di non comprendere la reale posta in gioco, d’importanza vitale, di questa ribellione. Eppure basterebbe ricordare che senza la ribellione di Mattei l’Italia non avrebbe conosciuto lo sviluppo economico, tecnico-scientifico ed industriale che le permise di diventare una delle prime potenze economiche mondiali e basterebbe avere un minimo di consapevolezza degli scenari geopolitici e geoeconomici per comprendere che senza una nuova ribellione l’Italia è destinata alla de-industrializzazione e ad un futuro incipiente di precarietà, povertà e caos (2). E’ poi lecito immaginare che cosa sarebbe stata l’Italia se Mattei, in continua sinergia con il suo braccio destro teorico Giorgio La Pira, fosse rimasto in vita? Un’Italia emancipata dalla NATO e dagli USA, neutrale in politica estera, amica dei paesi non allineati ed emergenti e loro punto di riferimento, un’Italia campione in settori high-tech che oggi si sogna, un’Italia più giusta, equa e solidale con le forze del lavoro e della produzione e non in mano ai ricatti delle banche e della finanza internazionale…
La stessa inerzia e lo stesso servilismo si ritrova nel ceto politico-imprenditoriale italiano che è ben più consapevole dell’uomo medio come il “modus Bascapè” spetti a chiunque, ancora oggi, provi a liberarsi da quelle catene e a farsi carico di una riscossa nazionale.
“Vogliono farmi fuori come Mattei, non con un aereo che si schianta, nell’epoca di Internet basta cucinare qualche polpetta avvelenata e metterla in rete” proferì un già “bollito” Berlusconi nel dicembre del 2010 in Kazakistan (3). Un Berlusconi che si è poi dimostrato arrendevole e complice nel precipitare l’Italia in una spirale tremenda e pronto a sacrificare il bene della nazione a quello dei poteri forti (e ai suoi egoistici interessi) e perciò ha avuto salva la vita (e le aziende) e che per questo motivo è imparagonabile a quell’Enrico Mattei che condusse invece la sua azione coerentemente fino in fondo, senza compromessi, fino alle sue estreme conseguenze perché il bene della Nazione non poteva essere per lui oggetto di bassi e meschini accordi, ricatti e chissà cos’altro.
La fine di Mattei è un “monito imperituro” per l’Italia: “Non alzate la testa” sussurrano i poteri forti, “questa è la sorte che spetta a chiunque di voi si ribelli. Non osate, non provateci”. E nessuno infatti ci prova più; i pochissimi che tentano e hanno tentato o sono finiti anche loro male (vedi Bettino Craxi) o non hanno avuto quella forza, quella statura morale e quell’amor patrio indispensabili a resistere alla pressione, ai tentativi di soffocamento e sviamento dei “poteri forti” (vedi Silvio Berlusconi), come invece aveva Enrico Mattei.
Chi era Enrico Mattei e chi erano i suoi nemici?
Sintomatico del suo stato di sottomissione e decadenza morale, il popolo italiano continua però a intendere la morte di Mattei come qualcosa d’ineluttabile e necessaria, essendosi il fondatore dell’ENI fatalmente ribellato contro dei poteri percepiti come eterni e onnipotenti, così come ineluttabile e necessaria continua ad essere sentita l’odierna sottomissione del nostro paese agli Stati Uniti d’America e oggetto d’incomprensione e d’ironia chiunque cerchi di ribellarsi a questo stato di fatto, non comprendendo o facendo finta di non comprendere la reale posta in gioco, d’importanza vitale, di questa ribellione. Eppure basterebbe ricordare che senza la ribellione di Mattei l’Italia non avrebbe conosciuto lo sviluppo economico, tecnico-scientifico ed industriale che le permise di diventare una delle prime potenze economiche mondiali e basterebbe avere un minimo di consapevolezza degli scenari geopolitici e geoeconomici per comprendere che senza una nuova ribellione l’Italia è destinata alla de-industrializzazione e ad un futuro incipiente di precarietà, povertà e caos (2). E’ poi lecito immaginare che cosa sarebbe stata l’Italia se Mattei, in continua sinergia con il suo braccio destro teorico Giorgio La Pira, fosse rimasto in vita? Un’Italia emancipata dalla NATO e dagli USA, neutrale in politica estera, amica dei paesi non allineati ed emergenti e loro punto di riferimento, un’Italia campione in settori high-tech che oggi si sogna, un’Italia più giusta, equa e solidale con le forze del lavoro e della produzione e non in mano ai ricatti delle banche e della finanza internazionale…
La stessa inerzia e lo stesso servilismo si ritrova nel ceto politico-imprenditoriale italiano che è ben più consapevole dell’uomo medio come il “modus Bascapè” spetti a chiunque, ancora oggi, provi a liberarsi da quelle catene e a farsi carico di una riscossa nazionale.
“Vogliono farmi fuori come Mattei, non con un aereo che si schianta, nell’epoca di Internet basta cucinare qualche polpetta avvelenata e metterla in rete” proferì un già “bollito” Berlusconi nel dicembre del 2010 in Kazakistan (3). Un Berlusconi che si è poi dimostrato arrendevole e complice nel precipitare l’Italia in una spirale tremenda e pronto a sacrificare il bene della nazione a quello dei poteri forti (e ai suoi egoistici interessi) e perciò ha avuto salva la vita (e le aziende) e che per questo motivo è imparagonabile a quell’Enrico Mattei che condusse invece la sua azione coerentemente fino in fondo, senza compromessi, fino alle sue estreme conseguenze perché il bene della Nazione non poteva essere per lui oggetto di bassi e meschini accordi, ricatti e chissà cos’altro.
La fine di Mattei è un “monito imperituro” per l’Italia: “Non alzate la testa” sussurrano i poteri forti, “questa è la sorte che spetta a chiunque di voi si ribelli. Non osate, non provateci”. E nessuno infatti ci prova più; i pochissimi che tentano e hanno tentato o sono finiti anche loro male (vedi Bettino Craxi) o non hanno avuto quella forza, quella statura morale e quell’amor patrio indispensabili a resistere alla pressione, ai tentativi di soffocamento e sviamento dei “poteri forti” (vedi Silvio Berlusconi), come invece aveva Enrico Mattei.
Chi era Enrico Mattei e chi erano i suoi nemici?
Ma chi erano e chi sono quei “poteri forti”? Chi era veramente Enrico Mattei? Uno dei più grandi studiosi che ha risposto a queste domande e che ha approfondito la vita, le opere e i nemici di Mattei è stato Nico Perrone i cui articoli e libri dovrebbero essere letti da tutti coloro che non vogliono dimenticare e vogliono valorizzare nell’oggi la figura e l’esempio del fondatore dell’ENI (4). Ricordiamo solo i più recenti tra le decine scritti: “Perchè uccisero Enrico Mattei: petrolio e guerra fredda nel primo grande delitto italiano” del 2006, “Enrico Mattei” del 2001 e “Giallo Mattei. I discorsi del fondatore dell’ENI che sfidò gli USA, la NATO e le Sette Sorelle” del 1999.
Ma un altro mezzo per conoscere e attualizzare la storia di Enrico Mattei, anche in modo più diretto e popolare, al di là del meritorio film di Francesco Rosi del 1972 che costò molto probabilmente la vita al giornalista Mauro De Mauro, è senz’altro lo spettacolo teatrale realizzato dal marchigiano Giorgio Felicetti che s’intitola “Mattei: petrolio e fango” (5), basato su un lavoro di lunga ricerca fatta di testimonianze dirette, consultazione di libri, in particolare quelli di Nico Perrone, foto, film, documentari e materiale giudiziario; uno spettacolo che dal 2010 l’autore, con abnegazione, sacrifici e senza l’aiuto di nessuno, porta in giro per l’Italia, da nord e sud, dovunque non gli vengano chiuse pretestuosamente le porte in faccia.
Così lo stesso Felicetti presenta il suo spettacolo: “Mattei è storia di petrolio. Mattei è storia di giustizia annegata nel fango. Mattei è la storia di una stella di fuoco che cade il 27 ottobre 1962 a Bascapé. (…) Questo singolare personaggio “patriota”, prefigura un’Italia che si riscatta da una guerra mondiale perduta tragicamente, dalla povertà atavica, dalle valigie di cartone dei nostri migranti. (…) Lo spettacolo racconta un Mattei sconvolgente, e getta una nuova, inquietante luce, su questa morte annunciata, primo tragico capitolo di quello che Pier Paolo Pasolini definisce il “romanzo delle stragi”.
Una breve sintesi dello spettacolo, caricata dallo stesso Giorgio Felicetti, si può vedere su Vimeo:
Ma un altro mezzo per conoscere e attualizzare la storia di Enrico Mattei, anche in modo più diretto e popolare, al di là del meritorio film di Francesco Rosi del 1972 che costò molto probabilmente la vita al giornalista Mauro De Mauro, è senz’altro lo spettacolo teatrale realizzato dal marchigiano Giorgio Felicetti che s’intitola “Mattei: petrolio e fango” (5), basato su un lavoro di lunga ricerca fatta di testimonianze dirette, consultazione di libri, in particolare quelli di Nico Perrone, foto, film, documentari e materiale giudiziario; uno spettacolo che dal 2010 l’autore, con abnegazione, sacrifici e senza l’aiuto di nessuno, porta in giro per l’Italia, da nord e sud, dovunque non gli vengano chiuse pretestuosamente le porte in faccia.
Così lo stesso Felicetti presenta il suo spettacolo: “Mattei è storia di petrolio. Mattei è storia di giustizia annegata nel fango. Mattei è la storia di una stella di fuoco che cade il 27 ottobre 1962 a Bascapé. (…) Questo singolare personaggio “patriota”, prefigura un’Italia che si riscatta da una guerra mondiale perduta tragicamente, dalla povertà atavica, dalle valigie di cartone dei nostri migranti. (…) Lo spettacolo racconta un Mattei sconvolgente, e getta una nuova, inquietante luce, su questa morte annunciata, primo tragico capitolo di quello che Pier Paolo Pasolini definisce il “romanzo delle stragi”.
Una breve sintesi dello spettacolo, caricata dallo stesso Giorgio Felicetti, si può vedere su Vimeo:
Nello spettacolo si racconta la vita di Mattei fin dalla prima giovinezza contrassegnata da una profonda determinazione sempre più orientata, dopo il disastro della guerra, ad un progetto di riscatto nazionale. La sua partecipazione alla Resistenza, che non gli impedirà di portare avanti nel dopoguerra un’azione di ricostruzione e rilancio fondata su una prassi di riappacificazione civile scevra da odi settari, che guardava alla qualità degli uomini e non al loro passato fosse questo “nero”, “bianco” o “rosso”. La difesa dell’Agip dalle grinfie statunitensi e dagli avvoltoi interni. L’avventura e la crescita poderosa dell’ENI basata sulla forza del genio scientifico ed industriale italiano, su un’idea d’Italia avanguardistica nel campo dello sviluppo e dell’innovazione e su una logica sociale e comunitaria dell’azienda e dei rapporti capitale-lavoro, dove i dipendenti erano da Mattei considerati come figli e fratelli. I nemici giurati interni come Eugenio Cefis e Enrico Cuccia legati alla CIA e al capitalismo statunitense e quelli esterni della NATO inquieti delle sue relazioni eterodosse, anticolonialiste e win-win con i paesi poveri, non-allineati o comunisti. L’odio e le minacce sempre crescenti, gli ultimi giorni di vita e il ruolo occulto della mafia made in USA nell’attentato, il complotto, il disastro aereo, i brandelli di corpo nel fango, il brindisi finale di Eugenio Cefis di fronte alla tragedia e agli insabbiamenti, i misteri d’Italia che non finiscono e che come un filo conduttore continuano ancora oggi; questi ed altri temi costituiscono la trama di una rappresentazione teatrale, quella di Giorgio Felicetti, che finisce per assumere, per intensità ed evocazione, una connotazione “sacra”.
Questo spettacolo infatti, che chi scrive ha avuto la possibilità di vedere più volte, è come un’offerta votiva alla memoria di un Grande Italiano e un’azione maieutica nei confronti delle energie del nostro dormiente popolo e delle sue forze vitali oggi assopite e asservite.
Non obbliare e lottare
“O Italiani!” invocava dal profondo del suo cuore l’apostolo d’Italia Giuseppe Mazzini, “non obbliate giammai, che il primo passo a produrre uomini grandi sta nello onorare i già spenti”.
Ed è quello che ha fatto Giorgio Felicetti con il suo spettacolo ed è quello che ognuno di noi, il 27 ottobre, giorno dell’anniversario, è chiamato a fare. Perché la nostra Patria ha di nuovo bisogno di grandi uomini che la amino, la conducano e la riscattino consacrando la loro esistenza ad una missione e a un dovere superiore di liberazione nazionale e continentale, della Patria nazionale e della Patria europea. Grandi uomini che le ridiano forza e la ridestino contro l’occupante statunitense – linfa fondamentale dei “poteri forti” ed occulti di ieri e di oggi – di grandi uomini che non si arrendano al destino di de-industrializzazione a cui hanno condannato l’Italia, ma si facciano promotori di una grande impresa di rilancio e di sviluppo della nostra forza e delle nostre capacità tecniche ed organizzative nella scienza e nella grande industria high-tech dell’oggi e soprattutto del domani – informatica e computer quantistici, telecomunicazioni, elettronica, nanotecnologie, robotica, aerospazio, biotecnologie, ingegneria genetica, intelligenza artificiale, energia, nucleare, etc – come voleva e come ha fatto quel grande patriota e visionario di nome Enrico Mattei (molto simile in questo al grande Adriano Olivetti, anche nella sua tragica fine), che alimentò e fece perno sul genio scientifico italiano e sulle grandi capacità tecnico-organizzative del nostro popolo per costruire quel Cane a Sei Zampe che avrebbe dovuto conquistare non solo l’indipendenza energetica ma dare decisivo impulso alla ricerca italiana in altri inesplorati campi della scienza e dell’high-tech e che fu per decenni motore fondamentale dello sviluppo socio-economico nazionale.
“Non obbliare e lottare”: queste siano le uniche due parole degne da pronunciarsi sulle labbra degli italiani in questo sacro anniversario, come se fosse lo stesso Mattei a suggerircele. Giornata di lutto e giornata di lotta.
L’Italia: il “gattino” magro, affamato, malato e con la spina dorsale rotta è ormai in coma. Cosa vogliamo fare? Lasciarlo morire, farne sbranare il corpo esanime da quei cani che, oggi come ieri, sono rapaci e affamati e pronti a fiondarsi anche sul suo cadavere? O vogliamo risvegliarlo quel “gattino”, nutrirlo, allevarlo, rafforzarlo, trasformarlo in un leoncino che sappia difendere se stesso e i suoi cuccioli dai cani rabbiosi, che sappia conquistarsi per se stesso e la sua prole un futuro felice, dignitoso e libero?
Noi sappiamo che bisogna farlo, ora! E Mattei sarebbe con noi.
Ed è quello che ha fatto Giorgio Felicetti con il suo spettacolo ed è quello che ognuno di noi, il 27 ottobre, giorno dell’anniversario, è chiamato a fare. Perché la nostra Patria ha di nuovo bisogno di grandi uomini che la amino, la conducano e la riscattino consacrando la loro esistenza ad una missione e a un dovere superiore di liberazione nazionale e continentale, della Patria nazionale e della Patria europea. Grandi uomini che le ridiano forza e la ridestino contro l’occupante statunitense – linfa fondamentale dei “poteri forti” ed occulti di ieri e di oggi – di grandi uomini che non si arrendano al destino di de-industrializzazione a cui hanno condannato l’Italia, ma si facciano promotori di una grande impresa di rilancio e di sviluppo della nostra forza e delle nostre capacità tecniche ed organizzative nella scienza e nella grande industria high-tech dell’oggi e soprattutto del domani – informatica e computer quantistici, telecomunicazioni, elettronica, nanotecnologie, robotica, aerospazio, biotecnologie, ingegneria genetica, intelligenza artificiale, energia, nucleare, etc – come voleva e come ha fatto quel grande patriota e visionario di nome Enrico Mattei (molto simile in questo al grande Adriano Olivetti, anche nella sua tragica fine), che alimentò e fece perno sul genio scientifico italiano e sulle grandi capacità tecnico-organizzative del nostro popolo per costruire quel Cane a Sei Zampe che avrebbe dovuto conquistare non solo l’indipendenza energetica ma dare decisivo impulso alla ricerca italiana in altri inesplorati campi della scienza e dell’high-tech e che fu per decenni motore fondamentale dello sviluppo socio-economico nazionale.
“Non obbliare e lottare”: queste siano le uniche due parole degne da pronunciarsi sulle labbra degli italiani in questo sacro anniversario, come se fosse lo stesso Mattei a suggerircele. Giornata di lutto e giornata di lotta.
L’Italia: il “gattino” magro, affamato, malato e con la spina dorsale rotta è ormai in coma. Cosa vogliamo fare? Lasciarlo morire, farne sbranare il corpo esanime da quei cani che, oggi come ieri, sono rapaci e affamati e pronti a fiondarsi anche sul suo cadavere? O vogliamo risvegliarlo quel “gattino”, nutrirlo, allevarlo, rafforzarlo, trasformarlo in un leoncino che sappia difendere se stesso e i suoi cuccioli dai cani rabbiosi, che sappia conquistarsi per se stesso e la sua prole un futuro felice, dignitoso e libero?
Noi sappiamo che bisogna farlo, ora! E Mattei sarebbe con noi.
Michele Franceschelli
Note:
1) Mattei, un complotto italiano, La Stampa (Aggiornamento ottobre 2019: il link sulla La Stampa non è più consultabile... Si veda quindi Il caso Mattei su La Repubblica.it).
2) Si veda per esempio: Alla radice dell’invasione: la criminale distruzione della Giamahiria
3) Per esempio vedi: Il premier gela Letta e aspetta altri cablo
“Vogliono farmi fuori come Mattei”
4) Nico Perrone
Articolo originariamente pubblicato sul giornale on-line 'Stato e Potenza'