1. Introduzione
2. Nikolaj Fjodorovich Fjodorov
3. Konstantin Tzjolkovskij
4. Vladimir Vernadskij
5. Eredità
1. Introduzione
Con il termine “Cosmismo” s’indica un vasto movimento culturale nato e sviluppatosi in Russia a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Una corrente che unisce filosofi, scienziati ed artisti, che amalgama elementi radicati nella tradizione spirituale dell’anima russa con la scienza e la tecnica occidentale moderna. Una corrente sorprendentemente creatrice, fertile ed eclettica, che è stata capace di partorire ed influenzare alcune delle più importanti personalità russe del novecento, cresciuto in quell’humus culturale unico da cui è germogliata anche l’altra grande rivoluzione del tempo, l’ ‘assalto al cielo’ del bolscevismo, influenzandosi reciprocamente. Fino alla scomparsa dell’URSS, il cosmismo è stato oggetto di scarsa considerazione in Occidente, vittima indiretta della Guerra Fredda. Ancor oggi non ci sono studi approfonditi, e in Italia mancano anche le traduzioni dei principali scritti dei maggiori cosmisti.
Come suggerisce il nome – il termine filosofia ‘cosmica’ fu impiegato per la prima volta da Konstantin Tzjolkovskij – il minimo comune denominatore delle diverse personalità del cosmismo è dato dalla prospettiva cosmica entro la quale inseriscono la Terra e l’umanità: la prima – un granello di polvere sparso nell’universo e con questo inestricabilmente legato – è abitata dalla specie umana a cui spetta il compito di procedere, attraverso un uso coraggioso della scienza e della tecnica, i suoi strumenti più importanti ed efficaci, all’armonizzazione della vita sulla Terra fino alla conquista del sistema solare e degli sterminati spazi galattici. E’ questo il compito cosmico che si apre all’homo faber del XX secolo.
Con il termine “Cosmismo” s’indica un vasto movimento culturale nato e sviluppatosi in Russia a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Una corrente che unisce filosofi, scienziati ed artisti, che amalgama elementi radicati nella tradizione spirituale dell’anima russa con la scienza e la tecnica occidentale moderna. Una corrente sorprendentemente creatrice, fertile ed eclettica, che è stata capace di partorire ed influenzare alcune delle più importanti personalità russe del novecento, cresciuto in quell’humus culturale unico da cui è germogliata anche l’altra grande rivoluzione del tempo, l’ ‘assalto al cielo’ del bolscevismo, influenzandosi reciprocamente. Fino alla scomparsa dell’URSS, il cosmismo è stato oggetto di scarsa considerazione in Occidente, vittima indiretta della Guerra Fredda. Ancor oggi non ci sono studi approfonditi, e in Italia mancano anche le traduzioni dei principali scritti dei maggiori cosmisti.
Come suggerisce il nome – il termine filosofia ‘cosmica’ fu impiegato per la prima volta da Konstantin Tzjolkovskij – il minimo comune denominatore delle diverse personalità del cosmismo è dato dalla prospettiva cosmica entro la quale inseriscono la Terra e l’umanità: la prima – un granello di polvere sparso nell’universo e con questo inestricabilmente legato – è abitata dalla specie umana a cui spetta il compito di procedere, attraverso un uso coraggioso della scienza e della tecnica, i suoi strumenti più importanti ed efficaci, all’armonizzazione della vita sulla Terra fino alla conquista del sistema solare e degli sterminati spazi galattici. E’ questo il compito cosmico che si apre all’homo faber del XX secolo.
Questa dimensione cosmica e la centralità attribuita all’azione tecnico-scientifica umana, sono il minimo comune denominatore che però non esaurisce la complessità di questa corrente culturale: il cosmismo è infatti caratterizzato anche da una forte componente di afflato spirituale variamente espressa e più in generale tutti i cosmisti erano dei talenti riconosciuti nel proprio campo specifico – fosse questo quello filosofico, religioso, scientifico o artistico – pensatori originali ed autonomi che richiederebbero ognuno un’analisi individuale approfondita.
Tra le tantissime personalità russe che si possono ricondurre al cosmismo, primeggiano quelle di Nikolaj Fjodorovich Fjodorov (1829-1903), Konstantin Tzjolkovskij (1857-1935) e Vladimir Vernadskij(1863-1945). E’ su queste tre figure che concentreremo la nostra attenzione partendo da quello che, primo in ordine cronologico, è stato considerato dai suoi contemporanei il ‘Socrate di Mosca’, padre fondatore del cosmismo russo, al quale ha associato un profondo ed indelebile carattere religioso-spirituale unito ad una temerarietà tecnico-scientifica senza precedenti; una personalità che con il suo pensiero, come vedremo, manda in cortocircuito il modello occidentale di inconciliabilità tra tecnoscienza da una parte – anche la più audace – e religione dall’altra.
2. Nikolaj Fjodorovich Fjodorov
«La più piena e profonda assimilazione del concetto di dovere è necessaria per non cadere nell’afflizione e perdere la speranza, per restare sempre fedeli a Dio e agli antenati, perché l’umanità dovrà superare delle difficoltà di tale portata che terrorizzerebbero anche le immaginazioni più temerarie. Solo un lavoro duro e prolungato ci purificherà nel compimento del nostro dovere, portandoci alla resurrezione e alla comunione con la Trinità dell’Essere, mentre noi rimaniamo, come Lui, persone immortali e indipendenti, capaci di sentire e consapevoli della nostra unità. Solo allora avremo la prova definitiva dell’esistenza di Dio e saremo faccia a faccia con Lui».
Un bibliotecario ascetico
Nikolaj Fjodorovic Fjodorov è stato il pioniere del cosmismo e come tale ha lasciato un segno profondo nella storia della Russia. La sua ‘filosofia della causa comune’ ha influenzato i lavori di tantissimi scienziati come Konstantin Tzjolkovskij, Vladimir Vernadskij e Alexander Chizhevsky, e il pensiero filosofico-religioso di Vladimir Soloviev e Nikolaj Berdjaev; ha avuto un profondo impatto sul lavoro dei maggiori esponenti della letteratura russa del novecento come Fëdor Dostoevskij e Lev Tolstoj, Valery Brjusov e Vladimir Majakovskij, Nikolai Klyuev e Velimir Chlebnikov, Maxim Gorky e Mikhail Prishvina, Andrej Platonov, Boris Pasternak e Aleksandr Bogdanov.
Ma chi era Fjodorov, il ‘Socrate di Mosca’?
Nikolai Fjodorov nacque nel 1829 nel villaggio di Kliuchi, nella provincia di Tambov, nel sud della Russia. Fu il figlio illegittimo che il principe Pavel Gagarin ebbe con Elizaveta Ivanova, della quale si hanno scarse notizie. Molto presto il piccolo Nikolai sarebbe stato costretto a separarsi dalla madre a causa delle politiche matrimoniali del padre. L’infanzia di Fjodorov ha lasciato profonde impronte sul suo pensiero filosofico-religioso. Ecco come Fjodorov ricorda i suoi anni d’infanzia: “Degli anni dell’infanzia, tre ricordi mi rimangono chiari in mente: ho visto un pane nero, molto nero, di cui (ho sentito dire), i contadini si nutrivano in quelli che probabilmente erano anni di carestia. Fin da bambino ho sentito una spiegazione della guerra (in risposta ad una mia domanda) che mi ha messo una confusione terribile: ‘In guerra la gente si spara uno all’altro’. E, infine, ho imparato che alcune persone non sono nostri parenti, ma estranei, e anche tra i propri parenti alcuni non sono parenti, ma estranei”. La lotta contro la natura matrigna, contro la distruzione reciproca degli uomini – soggetti a questa natura – e la ricerca di una causa comune che sia in grado di unire e rendere fraterni l’uno all’altro gli uomini, sono i cardini del pensiero di Fjodorov – che analizzeremo in dettaglio più avanti – che emergono in nuce già in questi brevi ricordi d’infanzia.
Nikolaj Fjodorovic Fjodorov è stato il pioniere del cosmismo e come tale ha lasciato un segno profondo nella storia della Russia. La sua ‘filosofia della causa comune’ ha influenzato i lavori di tantissimi scienziati come Konstantin Tzjolkovskij, Vladimir Vernadskij e Alexander Chizhevsky, e il pensiero filosofico-religioso di Vladimir Soloviev e Nikolaj Berdjaev; ha avuto un profondo impatto sul lavoro dei maggiori esponenti della letteratura russa del novecento come Fëdor Dostoevskij e Lev Tolstoj, Valery Brjusov e Vladimir Majakovskij, Nikolai Klyuev e Velimir Chlebnikov, Maxim Gorky e Mikhail Prishvina, Andrej Platonov, Boris Pasternak e Aleksandr Bogdanov.
Ma chi era Fjodorov, il ‘Socrate di Mosca’?
Nikolai Fjodorov nacque nel 1829 nel villaggio di Kliuchi, nella provincia di Tambov, nel sud della Russia. Fu il figlio illegittimo che il principe Pavel Gagarin ebbe con Elizaveta Ivanova, della quale si hanno scarse notizie. Molto presto il piccolo Nikolai sarebbe stato costretto a separarsi dalla madre a causa delle politiche matrimoniali del padre. L’infanzia di Fjodorov ha lasciato profonde impronte sul suo pensiero filosofico-religioso. Ecco come Fjodorov ricorda i suoi anni d’infanzia: “Degli anni dell’infanzia, tre ricordi mi rimangono chiari in mente: ho visto un pane nero, molto nero, di cui (ho sentito dire), i contadini si nutrivano in quelli che probabilmente erano anni di carestia. Fin da bambino ho sentito una spiegazione della guerra (in risposta ad una mia domanda) che mi ha messo una confusione terribile: ‘In guerra la gente si spara uno all’altro’. E, infine, ho imparato che alcune persone non sono nostri parenti, ma estranei, e anche tra i propri parenti alcuni non sono parenti, ma estranei”. La lotta contro la natura matrigna, contro la distruzione reciproca degli uomini – soggetti a questa natura – e la ricerca di una causa comune che sia in grado di unire e rendere fraterni l’uno all’altro gli uomini, sono i cardini del pensiero di Fjodorov – che analizzeremo in dettaglio più avanti – che emergono in nuce già in questi brevi ricordi d’infanzia.
Nel 1869 Fjodorov si trasferì a Mosca e dal 1874, per venticinque anni, avrebbe lavorato come bibliotecario presso il Museo Rumyantsev della città.
Fjodorov condusse una vita ascetica, cercò di non possedere alcuna proprietà, una parte rilevante dei suoi stipendi veniva distribuito ai suoi ‘compagni’ e si muoveva sempre a piedi. Rifiutava di farsi fotografare e ritrarre. L’unica immagine che ci è pervenuta è quella segretamente dipinta da Leonid Pasternak.
Fjodorov considerava immorale la proprietà privata delle idee e dei libri. Tutto ciò che faceva la mente umana era patrimonio comune di tutte le persone, perché era la continuazione dei pensieri e degli scritti delle generazioni precedenti.
Pertanto Fjodorov lasciò solo appunti e note di testo che, dopo la sua morte avvenuta nel 1903, furono conservate e sistematizzate da due suoi discepoli nel libro, distribuito nel 1906, che aveva per titolo: ‘La filosofia della causa comune’.
Fjodorov condusse una vita ascetica, cercò di non possedere alcuna proprietà, una parte rilevante dei suoi stipendi veniva distribuito ai suoi ‘compagni’ e si muoveva sempre a piedi. Rifiutava di farsi fotografare e ritrarre. L’unica immagine che ci è pervenuta è quella segretamente dipinta da Leonid Pasternak.
Fjodorov considerava immorale la proprietà privata delle idee e dei libri. Tutto ciò che faceva la mente umana era patrimonio comune di tutte le persone, perché era la continuazione dei pensieri e degli scritti delle generazioni precedenti.
Pertanto Fjodorov lasciò solo appunti e note di testo che, dopo la sua morte avvenuta nel 1903, furono conservate e sistematizzate da due suoi discepoli nel libro, distribuito nel 1906, che aveva per titolo: ‘La filosofia della causa comune’.
Una filosofia dell’azione contro la natura matrigna
La ‘filosofia della causa comune’ di Fjodorov era una visione del mondo che, mescolando elementi religiosi del cristianesimo ortodosso con le scoperte della scienza e della tecnica del tempo, chiamava l’umanità a fraternizzare unendosi in una lotta comune per vincere la morte, per dominare le forze cieche della natura, per ridare la vita agli antenati e per essere infine degni, incarnado la volontà divina, di portare la razionalità nell’intero universo. Una filosofia religiosa pragmatica e proiettiva che, con estrema veemenza, poneva di fronte agli uomini compiti titanici – anche se in Fjodorov non c’è niente di ‘titanico-prometeico’ nel senso che gli viene comunemente attribuito in Occidente, come una rivolta contro il divino, perché la ‘causa comune’ è invece conforme alla volontà di Dio – compiti grandiosi come la resurrezione, o rianimazione, dei padri e degli antenati ad opera dei figli.
La ‘filosofia della causa comune’ di Fjodorov era una visione del mondo che, mescolando elementi religiosi del cristianesimo ortodosso con le scoperte della scienza e della tecnica del tempo, chiamava l’umanità a fraternizzare unendosi in una lotta comune per vincere la morte, per dominare le forze cieche della natura, per ridare la vita agli antenati e per essere infine degni, incarnado la volontà divina, di portare la razionalità nell’intero universo. Una filosofia religiosa pragmatica e proiettiva che, con estrema veemenza, poneva di fronte agli uomini compiti titanici – anche se in Fjodorov non c’è niente di ‘titanico-prometeico’ nel senso che gli viene comunemente attribuito in Occidente, come una rivolta contro il divino, perché la ‘causa comune’ è invece conforme alla volontà di Dio – compiti grandiosi come la resurrezione, o rianimazione, dei padri e degli antenati ad opera dei figli.
Secondo Fjodorov questa ‘causa comune’ è così straordinaria che sarebbe in grado di assorbire e mobilitare tutte le energie di coloro che, attualmente, le spendono in discordie e guerre reciproche; la pace e la fraternità tra gli uomini saranno possibili solo quando l’umanità unirà le sue forze per questo compito comune. La ‘causa comune’ è “un’attività totalizzante, ampia, pura”, che dà un senso all’esistenza dell’uomo sulla Terra, che altrimenti è costretto a “ricorrere a fantasie, rapimenti estatici e all’abuso di droga”. “L’oggetto di quest’azione saranno le forze cieche della natura, le ceneri dei padri o le molecole e gli atomi provenienti dalla decomposizione dei loro corpi, perché queste sono le forze cieche ed irrazionali che devono essere comprese e controllate”. Solo allora la storia cesserà di essere la saga delle battaglie fratricide umane, “per diventare la cronaca della battaglia comune contro le forze cieche della natura che agiscono fuori e dentro di noi; non una battaglia contro gli altri, ma una lotta che porta all’unione contro la morte, per la resurrezione e la vita”. E’ compito dell’umanità quello di arrivare finalmente a governare le forze cieche della natura come i terremoti, le inondazioni, i diluvi, le siccità, le malattie, che portano la distruzione, la carestia e la morte; quest’ultima per Fjodorov – e lo vedremo meglio in seguito – è solo un fenomeno naturale che può e deve essere superato dalla “conoscenza e dall’azione” dell’uomo; anzi, dovere dell’uomo – dei figli – è riportare in vita i padri, gli antenati, vittime delle forze cieche della natura, utilizzando la scienza e la tecnologia, strumenti della ragione umana.
Per Fjodorov non c’è niente di più naturale dell’uso razionale dell’intelligenza per dominare le forze cieche della natura, mentre è innaturale il continuo dispiegarsi di queste forze cieche di fronte alla ragione, perché mostrano l’inattività della ragione stessa. All’operosità dell’umanità guidata dalla ragione e unita nella ‘causa comune’, si aprono campi d’azione sterminati non limitati dal tempo: “Per un grande intelletto capace di abbracciare in una formula i movimenti sia dei più grandi corpi celesti dell’universo che degli atomi più piccoli, niente rimarrà sconosciuto, il futuro e il passato gli saranno accessibili”; l’oggetto dell’azione non avrà neanche confini spaziali, “sarà l’intero universo, che oggi soggiace alle forze cieche della natura; che oggetto straordinario!!”. (…) “I problemi di carestie ed epidemie ci spingono a trascendere i confini del mondo. Il lavoro umano non dev’essere limitato dai confini del pianeta, in particolar modo dal momento che non esistono confini né frontiere. Il pianeta Terra è aperto da tutti i lati. I mezzi di trasporto, e le modalità con cui viviamo in ambienti diversi, possono e devono essere cambiati”.
Per Fjodorov non c’è niente di più naturale dell’uso razionale dell’intelligenza per dominare le forze cieche della natura, mentre è innaturale il continuo dispiegarsi di queste forze cieche di fronte alla ragione, perché mostrano l’inattività della ragione stessa. All’operosità dell’umanità guidata dalla ragione e unita nella ‘causa comune’, si aprono campi d’azione sterminati non limitati dal tempo: “Per un grande intelletto capace di abbracciare in una formula i movimenti sia dei più grandi corpi celesti dell’universo che degli atomi più piccoli, niente rimarrà sconosciuto, il futuro e il passato gli saranno accessibili”; l’oggetto dell’azione non avrà neanche confini spaziali, “sarà l’intero universo, che oggi soggiace alle forze cieche della natura; che oggetto straordinario!!”. (…) “I problemi di carestie ed epidemie ci spingono a trascendere i confini del mondo. Il lavoro umano non dev’essere limitato dai confini del pianeta, in particolar modo dal momento che non esistono confini né frontiere. Il pianeta Terra è aperto da tutti i lati. I mezzi di trasporto, e le modalità con cui viviamo in ambienti diversi, possono e devono essere cambiati”.
Questa lotta contro le forze cieche della natura, contro la “natura portatrice di morte”, non è qualcosa di anomalo, peculiare della modernità e sviluppatosi solo negli ultimi secoli dei ‘lumi’ – caratterizzati dall’affermazione del pensiero scientifico – rompendo con un presunto stato precedente fatto di equilibrio armonioso tra l’uomo e l’ambiente, ma fin dalle sue origini la specie umana ha sempre sentito e riconosciuto “l’imperfezione della natura, e non l’ha mai accettata come una legge. Ha rotto questa legge quando ha fatto il suo primo passo, perché la sua postura verticale ha sfidato la forza di gravità, la legge più universale della natura. Questa posizione verticale non è naturale per l’uomo – è sovrannaturale – e l’ha raggiunta artificialmente, attraverso lo sforzo (con fasciature e altri metodi di adattamento)”.
L’uomo deve costruire il suo futuro con il sudore della fronte ed il lavoro creativo; lo condanna a questo destino la sua mancanza di specializzazione naturale, diversamente da tutti gli altri esseri animali. Alcune considerazioni di Fjodorov su quest’argomento ricordano quelle dell’antropologia filosofica sviluppata successivamente da Arnold Gehlen. Scrive infatti Fjodorov: “Non si può dire dell’uomo che è una creazione della natura. Al contrario, è il risultato di una sotto-creazione, di privazione, di un pauperismo naturale che è condiviso dai ricchi e dai poveri, è un proletario, un paria tra le creature viventi. Eppure, in questo sta l’origine della sua futura grandezza; privo di protezione naturale e mezzi di difesa, ha dovuto crearli da sé con il proprio lavoro. Pertanto l’uomo valorizza solo ciò che è stato creato dal lavoro, o che espande l’area di applicazione del lavoro; non è difficile immaginare che il culmine di questo movimento in avanti dev’essere che tutto ciò da cui la vita umana dipende sarà conseguito attraverso il lavoro, in modo che gli esseri umani dipenderanno unicamente dal loro lavoro”. All’uomo si apre sempre di più, con il trascorrere del tempo, la necessità di ampliare il proprio campo d’azione: “Tutto il mondo, i processi meteorologici, tellurici e cosmici, ricadranno sotto la responsabilità dell’uomo, e la natura sarà il suo lavoro. L’uomo è spinto verso quest’obiettivo dalla fame, dalle malattie e da altre calamità, in modo che ogni volta che ritarda ad espandere l’area di applicazione del lavoro, la portata dei disastri si amplia. Così la natura punisce l’uomo con la morte per la sua ignoranza e la sua pigrizia, e lo spinge ad espandere sempre di più la sua attività lavorativa”. Di fronte a questo destino insieme tragico ed eroico, l’uomo rischia di non riuscire a sopportare il carico psicologico di questo fardello di cui è sempre più consapevole, e di non essere pertanto all’altezza degli obiettivi della ‘causa comune’, rinunciando all’azione creatrice e accettando timorosamente la subordinazione alla natura: “L’attuale generazione è troppo spaventata dalla grandezza del tempo e dello spazio rivelato dalla geologia e dall’astronomia, ed è stata così condizionata da quattro secoli di culto della natura, che percepisce solo la sua insignificanza, e teme addirittura a contemplare uno sforzo come quello del controllo del tempo”.
L’uomo deve costruire il suo futuro con il sudore della fronte ed il lavoro creativo; lo condanna a questo destino la sua mancanza di specializzazione naturale, diversamente da tutti gli altri esseri animali. Alcune considerazioni di Fjodorov su quest’argomento ricordano quelle dell’antropologia filosofica sviluppata successivamente da Arnold Gehlen. Scrive infatti Fjodorov: “Non si può dire dell’uomo che è una creazione della natura. Al contrario, è il risultato di una sotto-creazione, di privazione, di un pauperismo naturale che è condiviso dai ricchi e dai poveri, è un proletario, un paria tra le creature viventi. Eppure, in questo sta l’origine della sua futura grandezza; privo di protezione naturale e mezzi di difesa, ha dovuto crearli da sé con il proprio lavoro. Pertanto l’uomo valorizza solo ciò che è stato creato dal lavoro, o che espande l’area di applicazione del lavoro; non è difficile immaginare che il culmine di questo movimento in avanti dev’essere che tutto ciò da cui la vita umana dipende sarà conseguito attraverso il lavoro, in modo che gli esseri umani dipenderanno unicamente dal loro lavoro”. All’uomo si apre sempre di più, con il trascorrere del tempo, la necessità di ampliare il proprio campo d’azione: “Tutto il mondo, i processi meteorologici, tellurici e cosmici, ricadranno sotto la responsabilità dell’uomo, e la natura sarà il suo lavoro. L’uomo è spinto verso quest’obiettivo dalla fame, dalle malattie e da altre calamità, in modo che ogni volta che ritarda ad espandere l’area di applicazione del lavoro, la portata dei disastri si amplia. Così la natura punisce l’uomo con la morte per la sua ignoranza e la sua pigrizia, e lo spinge ad espandere sempre di più la sua attività lavorativa”. Di fronte a questo destino insieme tragico ed eroico, l’uomo rischia di non riuscire a sopportare il carico psicologico di questo fardello di cui è sempre più consapevole, e di non essere pertanto all’altezza degli obiettivi della ‘causa comune’, rinunciando all’azione creatrice e accettando timorosamente la subordinazione alla natura: “L’attuale generazione è troppo spaventata dalla grandezza del tempo e dello spazio rivelato dalla geologia e dall’astronomia, ed è stata così condizionata da quattro secoli di culto della natura, che percepisce solo la sua insignificanza, e teme addirittura a contemplare uno sforzo come quello del controllo del tempo”.
Per Fjodorov il compito della regolazione della natura da parte dell’uomo non ha niente a che vedere con l’attuale spogliazione capitalistica delle risorse naturali del pianeta: “La natura è il nostro nemico provvisorio, ma il nostro amico eterno, poiché non vi è alcuna ostilità eterna, e la rimozione del provvisorio è il nostro compito”.
L’attuale relazione tra l’uomo e la natura, in particolare negli Stati Uniti, è per Fjodorov caratterizzata dallo sfruttamento e guidata dalle logiche individualistiche del profitto e dei brevetti, per la produzione di oggetti – ‘giocattoli’ nella terminologia di Fjodorov – meschini, inutili ed infantili, e per la produzione di micidiali armi da guerra per la distruzione reciproca: “I capitalisti considerano la natura come un magazzino da cui estrarre i mezzi per una vita confortevole e piacevole, per distruggere e sperperare la ricchezza della natura accumulata nel corso dei secoli”. Fjodorov crede, invece, che questo rapporto dovrebbe essere di regolazione e ricreazione – contrario allo sfruttamento predatorio del capitalismo industriale e del militarismo – e porsi compiti degni della maturità, dell’età adulta dell’uomo, come il governo dei processi meteorologici e ‘tellurico-solari’, la lotta contro la morte e la resurrezione degli antenati. Essere maturi significa saper ascoltare la natura, “questa forza cieca che non ci chiede altro se non quello di dotarla di ciò che gli manca: una direzione razionale, una regolamentazione”. Raggiungere l’età adulta significa rifiutare le logiche individualiste e comprendere che finchè l’umanità sarà disunita, sarà impossibile la regolamentazione della natura: “La nostra disunione persiste perché non c’è un compito comune capace di unire gli uomini. Il regolamento, il controllo della forza cieca della natura, può e deve diventare il grande compito comune a tutti noi”.
Nei paesi industrializzati come gli Stati Uniti “la scienza non può venire a pieno compimento perché non riesce a trovare applicazioni sufficientemente grandi per accordarsi con l’ampiezza della conoscenza. Negli USA la realtà non coincide con la conoscenza perché la realtà è limitata dalla produzione d’inezie e frivolezze, mentre la conoscenza tende a comprendere la natura come un tutto. Chiaramente, la scienza ha superato la sua culla. La fabbrica e l’officina sono troppo costrittive; la scienza ha bisogno di più spazio”. Fjodorov rimarca pertanto l’indispensabilità dell’unione planetaria di tutti i popoli nella causa del compito comune: “Il compito di trasformare la forza cieca può essere realizzato solo da una comunità di tutti i popoli e le nazioni”, nella fraternità e nell’unione dell’umanità. E’ necessario infatti che i popoli del mondo si uniscano ed obbediscano ad un piano scientifico unitario: “La storia non può essere la nostra azione, il risultato della nostra attività, fintanto che viviamo in discordia. Anche quando siamo uniti, la nostra vita tribale non può essere governata dalla ragione, finché l’uomo dipende dalle forze cieche della natura e finchè non riesce a farne lo strumento di una ragione e di una singola volontà collettiva”.
Quest’unione comporterà la trasformazione di tutti i popoli, con l’aiuto degli intellettuali, in una forza scientifica collettiva. Ovviamente gli intellettuali e gli scienziati dovranno essere disposti a riunirsi in una “commissione atta all’elaborazione di un piano d’azione comune”, senza il quale l’umanità non può agire come un singolo essere, non può raggiungere l’età adulta.
I popoli riuniti saranno guidati da un capo carismatico, che Fjodorov, di impostazione monarchica, individua nello Zar di Russia, a cui spetterà un compito universale: “Solamente l’imperatore dell’Impero indiviso, che porta il suo esercito non a confrontarsi con gli esseri umani, ma con la forza cieca ed oscura della natura, può entrare con i suoi compagni d’armi nel paradiso che stanno creando”.
Gli eserciti – che dispongono di strumentazioni e mezzi tecnici all’avanguardia – dovranno essere radicalmente trasformati, data l’impossibilità della loro abolizione, come sperano invano i pacifisti: “Di rilevante importanza sarà la trasformazione delle attività militari nello studio della natura; un nuovo scopo sarà dato agli eserciti – quello della ricerca scientifica. Così inizierà il passaggio da un’attività innaturale ed ostile – la lotta contro i propri consanguinei – ad un’azione naturale e razionale sulle forze cieche ed irrazionali della natura, che ci infliggono siccità, inondazioni, terremoti e altre catastrofi, e ci riducono, esseri razionali che siamo, ad una dipendenza innaturale da queste forze”.
L’attuale relazione tra l’uomo e la natura, in particolare negli Stati Uniti, è per Fjodorov caratterizzata dallo sfruttamento e guidata dalle logiche individualistiche del profitto e dei brevetti, per la produzione di oggetti – ‘giocattoli’ nella terminologia di Fjodorov – meschini, inutili ed infantili, e per la produzione di micidiali armi da guerra per la distruzione reciproca: “I capitalisti considerano la natura come un magazzino da cui estrarre i mezzi per una vita confortevole e piacevole, per distruggere e sperperare la ricchezza della natura accumulata nel corso dei secoli”. Fjodorov crede, invece, che questo rapporto dovrebbe essere di regolazione e ricreazione – contrario allo sfruttamento predatorio del capitalismo industriale e del militarismo – e porsi compiti degni della maturità, dell’età adulta dell’uomo, come il governo dei processi meteorologici e ‘tellurico-solari’, la lotta contro la morte e la resurrezione degli antenati. Essere maturi significa saper ascoltare la natura, “questa forza cieca che non ci chiede altro se non quello di dotarla di ciò che gli manca: una direzione razionale, una regolamentazione”. Raggiungere l’età adulta significa rifiutare le logiche individualiste e comprendere che finchè l’umanità sarà disunita, sarà impossibile la regolamentazione della natura: “La nostra disunione persiste perché non c’è un compito comune capace di unire gli uomini. Il regolamento, il controllo della forza cieca della natura, può e deve diventare il grande compito comune a tutti noi”.
Nei paesi industrializzati come gli Stati Uniti “la scienza non può venire a pieno compimento perché non riesce a trovare applicazioni sufficientemente grandi per accordarsi con l’ampiezza della conoscenza. Negli USA la realtà non coincide con la conoscenza perché la realtà è limitata dalla produzione d’inezie e frivolezze, mentre la conoscenza tende a comprendere la natura come un tutto. Chiaramente, la scienza ha superato la sua culla. La fabbrica e l’officina sono troppo costrittive; la scienza ha bisogno di più spazio”. Fjodorov rimarca pertanto l’indispensabilità dell’unione planetaria di tutti i popoli nella causa del compito comune: “Il compito di trasformare la forza cieca può essere realizzato solo da una comunità di tutti i popoli e le nazioni”, nella fraternità e nell’unione dell’umanità. E’ necessario infatti che i popoli del mondo si uniscano ed obbediscano ad un piano scientifico unitario: “La storia non può essere la nostra azione, il risultato della nostra attività, fintanto che viviamo in discordia. Anche quando siamo uniti, la nostra vita tribale non può essere governata dalla ragione, finché l’uomo dipende dalle forze cieche della natura e finchè non riesce a farne lo strumento di una ragione e di una singola volontà collettiva”.
Quest’unione comporterà la trasformazione di tutti i popoli, con l’aiuto degli intellettuali, in una forza scientifica collettiva. Ovviamente gli intellettuali e gli scienziati dovranno essere disposti a riunirsi in una “commissione atta all’elaborazione di un piano d’azione comune”, senza il quale l’umanità non può agire come un singolo essere, non può raggiungere l’età adulta.
I popoli riuniti saranno guidati da un capo carismatico, che Fjodorov, di impostazione monarchica, individua nello Zar di Russia, a cui spetterà un compito universale: “Solamente l’imperatore dell’Impero indiviso, che porta il suo esercito non a confrontarsi con gli esseri umani, ma con la forza cieca ed oscura della natura, può entrare con i suoi compagni d’armi nel paradiso che stanno creando”.
Gli eserciti – che dispongono di strumentazioni e mezzi tecnici all’avanguardia – dovranno essere radicalmente trasformati, data l’impossibilità della loro abolizione, come sperano invano i pacifisti: “Di rilevante importanza sarà la trasformazione delle attività militari nello studio della natura; un nuovo scopo sarà dato agli eserciti – quello della ricerca scientifica. Così inizierà il passaggio da un’attività innaturale ed ostile – la lotta contro i propri consanguinei – ad un’azione naturale e razionale sulle forze cieche ed irrazionali della natura, che ci infliggono siccità, inondazioni, terremoti e altre catastrofi, e ci riducono, esseri razionali che siamo, ad una dipendenza innaturale da queste forze”.
Il servizio militare, così trasformato da forza negativa a forza positiva, esteso a livello mondiale, viene visto come una preparazione “per una lotta sacra e comune, non contro gli altri, ma per gli altri, contro la forza della natura che agisce al di fuori e dentro di noi”.
Allora finalmente “un’umanità unita diventerà la coscienza del pianeta Terra e dei suoi rapporti con gli altri corpi celesti”.
Allora finalmente “un’umanità unita diventerà la coscienza del pianeta Terra e dei suoi rapporti con gli altri corpi celesti”.
L’avversario dei misticismi
Come risulta evidente da quanto fin qui visto, la filosofia della ‘causa comune’ di Fjodorov si pone in modo antitetico rispetto all’attività meramente mistica-contemplativa, al ruolo passivo dell’uomo di fronte al mondo e alla natura e a chi cerca di porre limiti al campo d’azione del lavoro umano. I suoi attacchi al misticismo, considerato come una forma infantile o minore dell’umanità – che dovrà presto lasciare il posto ad una fase di maturità in cui la specie umana si unirà attorno alla ‘causa comune’- si rivolgono in particolare contro Solov’ev, Kant, Dante e Tolstoj, e alle forme religiose inattive e passive di fronte alla natura come il paganesimo e il buddismo, o alle attività ridondanti ed inconcludenti dei dotti; la ‘causa comune’ indica invece all’uomo la necessità di cominciare a costruire, qui ed ora, grandi piani d’azione per realizzare migliori – e infine paradisiache – condizioni di vita, che portino alla fraternità degli uomini e alla resurrezione dei padri.
Secondo Fjodorov non è un caso che Solov’ev abbia abbandonato la facoltà di fisica e matematica preferendo le ‘parole’ e la filosofia, perché “la potenza attiva portata all’uomo dalla fisica è sembrata a Solov’ev assolutamente insignificante in confronto al potere immaginario conferito dal misticismo, dalla magia e dalla Kabbala”. Eppure, i mezzi tecnico-scientifici attuali non sono apparenti, “e anche se oggi solo pochi di essi sono effettivamente operanti, in futuro saranno incomparabilmente maggiori: tentativi di regolazione del processo meteorologico, della pioggia, della grandine, della radiosità polare; tentativi di scongiurare minacce sotterranee, terremoti; tentativi di eradicazione delle malattie epidemiche, di contrastare il declino dell’organismo e, infine, i tentativi di rianimazione. (…) Il percorso da attuare non è attraverso l’abolizione del reale, ma piuttosto verso il perfezionamento del mondo materiale e verso la reale, non mistica, esecuzione dello spirituale e della rianimazione”.
Anche Kant finisce nel mirino di Fjodorov. Nel filosofo della “Critica della ragion pratica” non si trova traccia di un grande progetto e di un vasto piano capace di mobilitare l’umanità: “Per Kant la pace è solo il nostro pensiero, non la realtà”, mentre per Fjodorov il pensiero deve diventare pianificazione, altrimenti l’uomo cade vittima di attività illusorie come “l’ipnotismo, lo spiritualismo e così via”. C’è bisogno invece di una grande azione comune realizzabile solo da tutta l’umanità nel suo insieme. “Kant invece cerca solo di spiegare i sistemi dell’universo senza partecipare ed agire in questi mondi con la forza creatrice della ragione”.
Anche la “Divina Commedia” del ‘nostro’ Dante è in conflitto con la filosofia della ‘causa comune’ di Fjodorov: “La prima carenza del Paradiso di Dante – questo paradiso per minori, per coloro che considerano l’immortalità e la beatitudine come un loro diritto di nascita e non come il risultato del lavoro – è che questo paradiso non è stato creato da loro; esiste già, è stato creato per loro ma non da loro. (…) Eppure la felicità risiede in primo luogo nel lavoro di creazione, e la regolazione del processo meteorologico è la prima fase del compito celeste – la creazione di paradiso”.
Seguendo il filone delle precedenti critiche è facile intuire i rimproveri che vengono mossi da Fjodorov a Tolstoj, accusato di voler cambiare l’umanità solo con il potere delle parole, ma il “pio desiderio non è di alcuna utilità, perché cause profonde e potenti – che affondano nella forza cieca della natura che è presente sempre e dappertutto, dentro e fuori di noi – spingono le persone ad assumere atteggiamenti ostili gli uni verso gli altri”.
In ultimo, anche i dotti finiscono sotto l’accetta di Fjodorov. Gli intellettuali, che risiedono negli agi e nelle comodità della città, lontano dai duri campi di lavoro dei villaggi delle campagne esposti alle intemperie naturali e alle sofferenze, si dilettano a “studiare la natura così com’è senza pensare a quello che dovrebbe essere affinché il mondo diventi perfetto. Hanno studiato le cause senza considerare i fini. Nessuno scopo superiore guida la loro ricerca scientifica, che spesso è puramente casuale”. Solo quando i dotti passeranno dalla conoscenza all’azione, solo allora “progrediranno da una conoscenza di ciò che è a quella di ciò che deve essere”.
Come risulta evidente da quanto fin qui visto, la filosofia della ‘causa comune’ di Fjodorov si pone in modo antitetico rispetto all’attività meramente mistica-contemplativa, al ruolo passivo dell’uomo di fronte al mondo e alla natura e a chi cerca di porre limiti al campo d’azione del lavoro umano. I suoi attacchi al misticismo, considerato come una forma infantile o minore dell’umanità – che dovrà presto lasciare il posto ad una fase di maturità in cui la specie umana si unirà attorno alla ‘causa comune’- si rivolgono in particolare contro Solov’ev, Kant, Dante e Tolstoj, e alle forme religiose inattive e passive di fronte alla natura come il paganesimo e il buddismo, o alle attività ridondanti ed inconcludenti dei dotti; la ‘causa comune’ indica invece all’uomo la necessità di cominciare a costruire, qui ed ora, grandi piani d’azione per realizzare migliori – e infine paradisiache – condizioni di vita, che portino alla fraternità degli uomini e alla resurrezione dei padri.
Secondo Fjodorov non è un caso che Solov’ev abbia abbandonato la facoltà di fisica e matematica preferendo le ‘parole’ e la filosofia, perché “la potenza attiva portata all’uomo dalla fisica è sembrata a Solov’ev assolutamente insignificante in confronto al potere immaginario conferito dal misticismo, dalla magia e dalla Kabbala”. Eppure, i mezzi tecnico-scientifici attuali non sono apparenti, “e anche se oggi solo pochi di essi sono effettivamente operanti, in futuro saranno incomparabilmente maggiori: tentativi di regolazione del processo meteorologico, della pioggia, della grandine, della radiosità polare; tentativi di scongiurare minacce sotterranee, terremoti; tentativi di eradicazione delle malattie epidemiche, di contrastare il declino dell’organismo e, infine, i tentativi di rianimazione. (…) Il percorso da attuare non è attraverso l’abolizione del reale, ma piuttosto verso il perfezionamento del mondo materiale e verso la reale, non mistica, esecuzione dello spirituale e della rianimazione”.
Anche Kant finisce nel mirino di Fjodorov. Nel filosofo della “Critica della ragion pratica” non si trova traccia di un grande progetto e di un vasto piano capace di mobilitare l’umanità: “Per Kant la pace è solo il nostro pensiero, non la realtà”, mentre per Fjodorov il pensiero deve diventare pianificazione, altrimenti l’uomo cade vittima di attività illusorie come “l’ipnotismo, lo spiritualismo e così via”. C’è bisogno invece di una grande azione comune realizzabile solo da tutta l’umanità nel suo insieme. “Kant invece cerca solo di spiegare i sistemi dell’universo senza partecipare ed agire in questi mondi con la forza creatrice della ragione”.
Anche la “Divina Commedia” del ‘nostro’ Dante è in conflitto con la filosofia della ‘causa comune’ di Fjodorov: “La prima carenza del Paradiso di Dante – questo paradiso per minori, per coloro che considerano l’immortalità e la beatitudine come un loro diritto di nascita e non come il risultato del lavoro – è che questo paradiso non è stato creato da loro; esiste già, è stato creato per loro ma non da loro. (…) Eppure la felicità risiede in primo luogo nel lavoro di creazione, e la regolazione del processo meteorologico è la prima fase del compito celeste – la creazione di paradiso”.
Seguendo il filone delle precedenti critiche è facile intuire i rimproveri che vengono mossi da Fjodorov a Tolstoj, accusato di voler cambiare l’umanità solo con il potere delle parole, ma il “pio desiderio non è di alcuna utilità, perché cause profonde e potenti – che affondano nella forza cieca della natura che è presente sempre e dappertutto, dentro e fuori di noi – spingono le persone ad assumere atteggiamenti ostili gli uni verso gli altri”.
In ultimo, anche i dotti finiscono sotto l’accetta di Fjodorov. Gli intellettuali, che risiedono negli agi e nelle comodità della città, lontano dai duri campi di lavoro dei villaggi delle campagne esposti alle intemperie naturali e alle sofferenze, si dilettano a “studiare la natura così com’è senza pensare a quello che dovrebbe essere affinché il mondo diventi perfetto. Hanno studiato le cause senza considerare i fini. Nessuno scopo superiore guida la loro ricerca scientifica, che spesso è puramente casuale”. Solo quando i dotti passeranno dalla conoscenza all’azione, solo allora “progrediranno da una conoscenza di ciò che è a quella di ciò che deve essere”.
La vera religione
Al contrario del buddismo e del paganesimo, accusati di essere mistici e passivi di fronte alla natura, per Fjodorov l’unica vera religione è quella cristiana anche se, qualora il cristianesimo si rifiutasse di incarnare “il compito divino della causa comune” contro le forze cieche della natura, finirebbe per diventare indistinguibile dal paganesimo, un errore che si è già verificato in passato, in particolare nel cattolicesimo, dove la contemplazione ed il mistero sono stati abusati fino a negare l’attività creatrice dell’uomo. Eppure il cristianesimo rimane “l’unica religione vivente ed attiva, per il quale il problema della vita e della morte è un problema religioso, quello della resurrezione; così è quando ogni venerdì chiede: ‘Perché soffrono i viventi?’, quando ogni sabato domanda: ‘Perché gli esseri viventi muoiono?’ e infine quando ogni domenica chiede: ‘Perché i morti non sono tornati in vita? Perché quelli che sono nelle loro tombe non sono risorti?’”. Pertanto per Fjodorov una religione vivente, come quella cristiana, è quella che trasforma in religione il problema della vita e della morte, del ritorno della vita, della resurrezione, che pone l’uomo di fronte ai suoi doveri di creazione e di lotta contro le forze cieche della natura. Questo è il senso profondo della religione cristiana, annunciata una volta per tutte con la venuta di Cristo. Per Fjodorov la rivelazione divina è finita ed è ora iniziato il tempo dell’azione dell’uomo; le profezie apocalittiche servono solo a spronarne le energie per il lavoro creativo, non sono il monito di un destino ineluttabile: “Il pauroso Giudizio Universale è solo una minaccia per l’immaturità del genere umano“. Fjodorov esprime quindi la possibilità di evitare il giudizio universale e le sue conseguenze irrevocabili, grazie al lavoro attivo dell’uomo. Se gli obiettivi della ‘causa comune’ saranno fatti propri dal genere umano, allora non ci sarà la fine del mondo; l’umanità, con una natura trasformata e definitivamente dominata, avrà esperienza diretta della vita eterna.
Per Fjodorov la creazione del mondo non è stata terminata da Dio, ma è continuata dall’uomo, a cui spetta il compito di completarla: “Dio-Creatore creò l’uomo in corrispondenza ad un’idea creativa, quella che fosse un ri-creatore”; “Dio è lo Zar, che fa di tutto non solo semplicemente per l’uomo, ma anche attraverso l’uomo; (…) il Creatore attraverso di noi ricrea il mondo”. Ma l’uomo – e questa è l’interpretazione che Fjodorov fornisce del peccato originale – “preferì il piacere e non riuscì a sviluppare, a creare organi adatti a tutti gli ambienti, e i suoi organi divennero atrofizzati e paralizzati, e la Terra diventò un pianeta isolato. Il pensiero e l’essere si separarono”. Il peccato originale dell’uomo sta nel non essersi applicato a dovere nel suo lavoro creativo che avrebbe dovuto trasformare anche la sua corporeità fisica per permettergli di muoversi a piacere, come un angelo celeste, negli spazi sconfinati del cosmo. La ‘causa comune’ ha pertanto il compito di ridare all’uomo la consapevolezza del suo compito creativo divino, perché “gli esseri umani sono stati creati per essere i poteri celesti in sostituzione degli angeli caduti, per essere strumenti divini di Dio al fine di governare l’Universo e ripristinarne la magnificenza incorruttibile che aveva prima della Caduta”.
Fjodorov usa spesso anche il termine ‘supramoralismo’ per determinare l’essenza della ‘causa comune’: “Supramoralismo, o la risposta alla domanda, ‘Per cosa è stato creato l’uomo?’, indica che la razza umana, tutti i figli dell’uomo, attraverso la regolamentazione dei mondi celesti, diventerà essa stessa una forza celeste che regola i mondi dell’Universo”.
Fjodorov vuole un cristianesimo operante hic et nunc, non una religione che accetta come un dato di fatto la subordinazione dell’uomo alle forze cieche della natura. Il ‘Socrate di Mosca’ esige che il paradiso, “il regno di Dio, non siano qualcosa di un altro mondo, ma di questo mondo, qui ed ora; una trasfigurazione di questa realtà terrena, che si estenda a tutti i mondi celesti e ci conduca vicino al mondo ignoto. (…) Il Paradiso, o il regno di Dio, non è solo dentro di noi, non è solo un regno mentale e spirituale, ma anche visibile, tangibile, percepibile ai nostri organi”.
Per Fjodorov la giustificazione religiosa dell’attività creatrice dell’uomo e del suo compito divino, trovano una totale corrispondenza in uno dei dogmi principali del credo cristiano, quello delle due nature di Cristo, che dev’essere inteso praticamente e come un comando: anche l’uomo può e deve diventare un essere semi-divino, un angelo celeste, raggiungendo l’immortalità e l’eternità, resuscitando i propri antenati: “Supramoralismo è sinonimo del più grande comandamento, di diventare perfetti come il Padre nostro che è nei cieli; ci chiama al compito di ri-creazione e rianimazione per paragonarci al Creatore, perché così ha pregato Cristo nella sua ultima preghiera, ‘Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’ essi in noi una cosa sola’”.
Al contrario del buddismo e del paganesimo, accusati di essere mistici e passivi di fronte alla natura, per Fjodorov l’unica vera religione è quella cristiana anche se, qualora il cristianesimo si rifiutasse di incarnare “il compito divino della causa comune” contro le forze cieche della natura, finirebbe per diventare indistinguibile dal paganesimo, un errore che si è già verificato in passato, in particolare nel cattolicesimo, dove la contemplazione ed il mistero sono stati abusati fino a negare l’attività creatrice dell’uomo. Eppure il cristianesimo rimane “l’unica religione vivente ed attiva, per il quale il problema della vita e della morte è un problema religioso, quello della resurrezione; così è quando ogni venerdì chiede: ‘Perché soffrono i viventi?’, quando ogni sabato domanda: ‘Perché gli esseri viventi muoiono?’ e infine quando ogni domenica chiede: ‘Perché i morti non sono tornati in vita? Perché quelli che sono nelle loro tombe non sono risorti?’”. Pertanto per Fjodorov una religione vivente, come quella cristiana, è quella che trasforma in religione il problema della vita e della morte, del ritorno della vita, della resurrezione, che pone l’uomo di fronte ai suoi doveri di creazione e di lotta contro le forze cieche della natura. Questo è il senso profondo della religione cristiana, annunciata una volta per tutte con la venuta di Cristo. Per Fjodorov la rivelazione divina è finita ed è ora iniziato il tempo dell’azione dell’uomo; le profezie apocalittiche servono solo a spronarne le energie per il lavoro creativo, non sono il monito di un destino ineluttabile: “Il pauroso Giudizio Universale è solo una minaccia per l’immaturità del genere umano“. Fjodorov esprime quindi la possibilità di evitare il giudizio universale e le sue conseguenze irrevocabili, grazie al lavoro attivo dell’uomo. Se gli obiettivi della ‘causa comune’ saranno fatti propri dal genere umano, allora non ci sarà la fine del mondo; l’umanità, con una natura trasformata e definitivamente dominata, avrà esperienza diretta della vita eterna.
Per Fjodorov la creazione del mondo non è stata terminata da Dio, ma è continuata dall’uomo, a cui spetta il compito di completarla: “Dio-Creatore creò l’uomo in corrispondenza ad un’idea creativa, quella che fosse un ri-creatore”; “Dio è lo Zar, che fa di tutto non solo semplicemente per l’uomo, ma anche attraverso l’uomo; (…) il Creatore attraverso di noi ricrea il mondo”. Ma l’uomo – e questa è l’interpretazione che Fjodorov fornisce del peccato originale – “preferì il piacere e non riuscì a sviluppare, a creare organi adatti a tutti gli ambienti, e i suoi organi divennero atrofizzati e paralizzati, e la Terra diventò un pianeta isolato. Il pensiero e l’essere si separarono”. Il peccato originale dell’uomo sta nel non essersi applicato a dovere nel suo lavoro creativo che avrebbe dovuto trasformare anche la sua corporeità fisica per permettergli di muoversi a piacere, come un angelo celeste, negli spazi sconfinati del cosmo. La ‘causa comune’ ha pertanto il compito di ridare all’uomo la consapevolezza del suo compito creativo divino, perché “gli esseri umani sono stati creati per essere i poteri celesti in sostituzione degli angeli caduti, per essere strumenti divini di Dio al fine di governare l’Universo e ripristinarne la magnificenza incorruttibile che aveva prima della Caduta”.
Fjodorov usa spesso anche il termine ‘supramoralismo’ per determinare l’essenza della ‘causa comune’: “Supramoralismo, o la risposta alla domanda, ‘Per cosa è stato creato l’uomo?’, indica che la razza umana, tutti i figli dell’uomo, attraverso la regolamentazione dei mondi celesti, diventerà essa stessa una forza celeste che regola i mondi dell’Universo”.
Fjodorov vuole un cristianesimo operante hic et nunc, non una religione che accetta come un dato di fatto la subordinazione dell’uomo alle forze cieche della natura. Il ‘Socrate di Mosca’ esige che il paradiso, “il regno di Dio, non siano qualcosa di un altro mondo, ma di questo mondo, qui ed ora; una trasfigurazione di questa realtà terrena, che si estenda a tutti i mondi celesti e ci conduca vicino al mondo ignoto. (…) Il Paradiso, o il regno di Dio, non è solo dentro di noi, non è solo un regno mentale e spirituale, ma anche visibile, tangibile, percepibile ai nostri organi”.
Per Fjodorov la giustificazione religiosa dell’attività creatrice dell’uomo e del suo compito divino, trovano una totale corrispondenza in uno dei dogmi principali del credo cristiano, quello delle due nature di Cristo, che dev’essere inteso praticamente e come un comando: anche l’uomo può e deve diventare un essere semi-divino, un angelo celeste, raggiungendo l’immortalità e l’eternità, resuscitando i propri antenati: “Supramoralismo è sinonimo del più grande comandamento, di diventare perfetti come il Padre nostro che è nei cieli; ci chiama al compito di ri-creazione e rianimazione per paragonarci al Creatore, perché così ha pregato Cristo nella sua ultima preghiera, ‘Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’ essi in noi una cosa sola’”.
La resurrezione dei padri e la vittoria sulla morte
Il compito della resurrezione dei padri affonda nella mirabile testimonianza della resurrezione di Cristo e della Pasqua, perno di tutta l’impalcatura dottrinaria cristina, ma è anche una speranza ed un afflato spirituale universale che trova riscontro nelle credenze pagane dell’umanità, a testimonianza di un sentimento assoluto, primordiale, non ancora contaminato dal misticismo e dal culto delle leggi di distruzione-procreazione della natura: “Nel cristianesimo l’arte e la conoscenza sono riunite nella Pasqua, e anche nel paganesimo il culto degli antenati può portare la religione alla perfezione, alla realtà e all’attuazione. La religione come una simbiosi tra conoscenza e azione è il culto dei morti, o la Pasqua della sofferenza e della resurrezione. La religione è la preghiera universale di tutti i viventi di fronte alla sofferenza e alla morte, una preghiera per il ritorno alla vita di tutti i defunti. Il Cristo sofferente e risorto è il prototipo di tutti i figli dell’uomo. Due settimane nel corso dell’anno sono dedicate a Cristo, ma le altre cinquanta sono solo la ripetizione di queste due”.
Anche il sacramento dell’Eucarestia, altro fulcro della religione cristiana, è un messaggio contro la morte e per la resurrezione degli antenati: “Allora diventerà chiaro ed evidente anche il mistero del pane e del vino, ottenuto dalla polvere dei padri e trasfigurato nella loro carne e nel loro sangue”.
Non seguire gli insegnamenti di Cristo significa non accogliere la volontà del Signore; solo quando l’uomo sarà in grado di resuscitare i morti, solo allora “l’antagonismo tra l’umanità e il Divino finirà”.
Sarà un compito sacro ed universale, che sarà esteso a tuttti gli esseri razionali, non necessariamente credenti: “Supramoralismo è un problema sacro e naturale per tutti i figli, e soprattutto per coloro che credono nel Dio dei loro padri. Infine, supramoralismo è il problema più naturale per tutti gli esseri razionali, poiché la morte è causata da una forza irrazionale. Pertanto tutti i viventi, tutti i figli e le figlie, tutti gli esseri razionali, devono prendere parte alla soluzione del problema, il compito di restituire la vita. E’ infatti un dovere morale naturale trasformare l’astratto ‘Perché esiste l’esistente?’ in conoscenza ed arte vivente, non in riproduzioni di morti, ma in realtà viventi e nella conoscenza della vita di tutto il passato, di tutto ciò che è esistito”.
L’uomo, con il potere della scienza, deve imparare non solo a migliorare se stesso, ma anche a resuscitare i suoi antenati – fino a quelli del più lontano passato – dalla polvere e dalle tracce che hanno lasciato; infatti “tutta la materia è la polvere degli antenati”, atomi e molecole sparse per il mondo e per il cosmo. “Proponiamo la possibilità e la necessità di raggiungere, attraverso il lavoro comune dell’umanità, il completo apprendimento e la capacità di manipolazione di tutte le molecole e gli atomi del mondo esterno, in modo da raccogliere quelli dispersi, di riunire quelli dissociati, quindi ricostituire i corpi dei padri com’erano stati prima della loro fine. E’ necessario impostare degli esperimenti psico-fisiologici di rianimazione, sotto la guida di medici e sacerdoti, cioè in un’unificazione di scienza e religione”.
Le conoscenze scientifiche necessarie per quest’operazione di assemblamento molecolare non si possono limitare allo studio dell’infinitamente piccolo ma, dal momento che queste particelle sono sparse negli anfratti della Terra e nelle distese del sistema solare e negli spazi ignoti dell’universo, risulta necessario unire le conoscenze fisiche a quelle astronomiche, trasformando il lavoro della resurrezione in un compito di studio e azione “tellurico-cosmico”.
La catena della rianimazione andrebbe avanti a ritroso fino al primo uomo comparso sulla Terra e annichilito dalle leggi della natura: il figlio contribuisce così a resuscitare il padre, perché porta le tracce del suo aspetto, e il padre farà così con suo nonno, fino alle origini. Si chiede Fjodorov: “Cosa diventerà la natura – che nel suo stato attuale di incoscienza è una forza che procrea e uccide – quando raggiungerà la coscienza, se non una forza che restaurerà tutto quello che ha distrutto nella sua cecità?”.
La resurrezione per Fjodorov è il bene più prezioso perché la morte è il male più grande che affligge universalmente tutti gli uomini – un vero e proprio “crimine”, che ha accompagnato l’uomo fin dalle sue origini; è infatti “nei tormenti della consapevolezza della morte che nacque l’anima dell’uomo”.
Non seguire gli insegnamenti di Cristo significa non accogliere la volontà del Signore; solo quando l’uomo sarà in grado di resuscitare i morti, solo allora “l’antagonismo tra l’umanità e il Divino finirà”.
Sarà un compito sacro ed universale, che sarà esteso a tuttti gli esseri razionali, non necessariamente credenti: “Supramoralismo è un problema sacro e naturale per tutti i figli, e soprattutto per coloro che credono nel Dio dei loro padri. Infine, supramoralismo è il problema più naturale per tutti gli esseri razionali, poiché la morte è causata da una forza irrazionale. Pertanto tutti i viventi, tutti i figli e le figlie, tutti gli esseri razionali, devono prendere parte alla soluzione del problema, il compito di restituire la vita. E’ infatti un dovere morale naturale trasformare l’astratto ‘Perché esiste l’esistente?’ in conoscenza ed arte vivente, non in riproduzioni di morti, ma in realtà viventi e nella conoscenza della vita di tutto il passato, di tutto ciò che è esistito”.
L’uomo, con il potere della scienza, deve imparare non solo a migliorare se stesso, ma anche a resuscitare i suoi antenati – fino a quelli del più lontano passato – dalla polvere e dalle tracce che hanno lasciato; infatti “tutta la materia è la polvere degli antenati”, atomi e molecole sparse per il mondo e per il cosmo. “Proponiamo la possibilità e la necessità di raggiungere, attraverso il lavoro comune dell’umanità, il completo apprendimento e la capacità di manipolazione di tutte le molecole e gli atomi del mondo esterno, in modo da raccogliere quelli dispersi, di riunire quelli dissociati, quindi ricostituire i corpi dei padri com’erano stati prima della loro fine. E’ necessario impostare degli esperimenti psico-fisiologici di rianimazione, sotto la guida di medici e sacerdoti, cioè in un’unificazione di scienza e religione”.
Le conoscenze scientifiche necessarie per quest’operazione di assemblamento molecolare non si possono limitare allo studio dell’infinitamente piccolo ma, dal momento che queste particelle sono sparse negli anfratti della Terra e nelle distese del sistema solare e negli spazi ignoti dell’universo, risulta necessario unire le conoscenze fisiche a quelle astronomiche, trasformando il lavoro della resurrezione in un compito di studio e azione “tellurico-cosmico”.
La catena della rianimazione andrebbe avanti a ritroso fino al primo uomo comparso sulla Terra e annichilito dalle leggi della natura: il figlio contribuisce così a resuscitare il padre, perché porta le tracce del suo aspetto, e il padre farà così con suo nonno, fino alle origini. Si chiede Fjodorov: “Cosa diventerà la natura – che nel suo stato attuale di incoscienza è una forza che procrea e uccide – quando raggiungerà la coscienza, se non una forza che restaurerà tutto quello che ha distrutto nella sua cecità?”.
La resurrezione per Fjodorov è il bene più prezioso perché la morte è il male più grande che affligge universalmente tutti gli uomini – un vero e proprio “crimine”, che ha accompagnato l’uomo fin dalle sue origini; è infatti “nei tormenti della consapevolezza della morte che nacque l’anima dell’uomo”.
La morte, e la sua accettazione passiva, sono un’espressione dell’immaturità – d’infantilismo – dell’uomo, del suo essere in balìa delle forze cieche della natura dentro e fuori di lui, della sua mancanza di autosufficienza, della sua incapacità di ripristinare la vita, della mancanza di reciproco sostegno tra gli uomini. Soprattutto nell’Europa occidentale si riscontra una forma di puerilità cripto-pagana di matrice rinascimentale che accetta ed esalta la morte, considerata naturale, e “la paura della morte porta a considerarla come una forma di liberazione da questa paura angosciante, a scriverne inni elogiativi e a glorificarla”.
“Noi sappiamo di essere i figli di una moltitudine di antenati defunti. Ma per quanto sia grande il numero dei defunti, questo non può essere la base per l’accettazione incontrovertibile della morte, perchè comporterebbe la rinuncia del nostro dovere filiale. La morte è una proprietà, uno stato condizionato da cause, non è una qualità che determina ciò che un essere umano è e deve essere”.
Alcune delle riflessioni più profonde e toccanti di Fjodorov sono quelle dedicate alla morte e al suo significato universale per l’anima degli uomini.
“Il dolore di un figlio in lutto per la morte di suo padre è veramente universale, perché la morte – come la legge di una natura cieca – non può non suscitare un dolore intenso in un essere che abbia raggiunto la coscienza, e che può e deve realizzare il passaggio da un mondo dominato da questa forza cieca della natura a un mondo governato dalla ragione, dove non c’è posto per la morte. Questo dolore universale è sia obiettivo, a causa dell’universalità della morte, sia soggettivo, perché il lutto per la morte di un padre è comune a tutti. Il dolore veramente universale è il rammarico per essere stati mancanti di amore per i padri, e per l’eccessivo amore di sé”.
“Noi sappiamo di essere i figli di una moltitudine di antenati defunti. Ma per quanto sia grande il numero dei defunti, questo non può essere la base per l’accettazione incontrovertibile della morte, perchè comporterebbe la rinuncia del nostro dovere filiale. La morte è una proprietà, uno stato condizionato da cause, non è una qualità che determina ciò che un essere umano è e deve essere”.
Alcune delle riflessioni più profonde e toccanti di Fjodorov sono quelle dedicate alla morte e al suo significato universale per l’anima degli uomini.
“Il dolore di un figlio in lutto per la morte di suo padre è veramente universale, perché la morte – come la legge di una natura cieca – non può non suscitare un dolore intenso in un essere che abbia raggiunto la coscienza, e che può e deve realizzare il passaggio da un mondo dominato da questa forza cieca della natura a un mondo governato dalla ragione, dove non c’è posto per la morte. Questo dolore universale è sia obiettivo, a causa dell’universalità della morte, sia soggettivo, perché il lutto per la morte di un padre è comune a tutti. Il dolore veramente universale è il rammarico per essere stati mancanti di amore per i padri, e per l’eccessivo amore di sé”.
La lotta contro la morte è vecchia tanto quanto l’uomo e le sue più alte espressioni artistiche sono intimamente legate alla speranza di sconfiggerla e di rivedere di nuovo in vita gli amati padri: “L’uomo, era consapevole del male della morte, della propria imperfezione. Così la ribellione dei vivi (la postura verticale) e la resurrezione dei morti, in forma di lapidi, sono atti naturali di un essere razionale. E’ stato quando i vivi (che avevano subìto una perdita) si ribellarono e si voltarono verso il cielo, e quando i morti furono resuscitati sotto forma di lapidi, che l’arte ebbe inizio. La preghiera fu l’inizio dell’arte. L’orazione, e la preghiera compiuta in postura verticale, costituivano i primi atti d’arte, di arte sacra”.
E’ così che l’arte si affianca alla scienza e alla religione nel compito di traghettare l’uomo nella nuova era della maturità, dell’età adulta.
E’ così che l’arte si affianca alla scienza e alla religione nel compito di traghettare l’uomo nella nuova era della maturità, dell’età adulta.
La natura cosciente, cioè la sua regolamentazione da parte della ragione umana, porterà alla padronanza dei mezzi tecnico-scientifici necessari alla rianimazione degli antenati, strumenti che implicano anche la risoluzione del problema della morte; entrambi si basano infatti sulla conoscenza dei meccanismi atomico-molecolari che stanno alla base del funzionamento fisiologico del corpo: “L’organismo è una macchina e la coscienza vi si riferisce come la bile al fegato; se si rimonta la macchina, la coscienza vi tornerà”. Ai fini dello studio scientifico i luoghi di sepoltura e le tombe saranno trasformati in oggetti di ricerca attiva. Sarà dalla graduale acquisizione del processo di rianimazione che sarà possibile ottenere la chiave per la vita eterna. Infine, gli esseri resuscitati ed immortali, andranno a vivere sui pianeti del sistema solare, aprendo la strada alla sua regolamentazione.
Così il tema della resurrezione finisce per disvelare il senso generale e grandioso implicito nel supramoralismo e nella filosofia della ‘causa comune’: “La resurrezione è la trasformazione dell’universo – dal caos verso il quale si sta muovendo – nel cosmo, in una grandezza di incorruttibilità e indistruttibilità”. Si rivela all’uomo la grandiosità del suo compito: “Una sapienza profonda e rigogliosa che trova la sua miglior espressione nella salvezza dell’universo infinito, una salvezza che proviene da un insignificante granello di polvere, la Terra”.
Così il tema della resurrezione finisce per disvelare il senso generale e grandioso implicito nel supramoralismo e nella filosofia della ‘causa comune’: “La resurrezione è la trasformazione dell’universo – dal caos verso il quale si sta muovendo – nel cosmo, in una grandezza di incorruttibilità e indistruttibilità”. Si rivela all’uomo la grandiosità del suo compito: “Una sapienza profonda e rigogliosa che trova la sua miglior espressione nella salvezza dell’universo infinito, una salvezza che proviene da un insignificante granello di polvere, la Terra”.
Signore dell’universo e conquiste cosmiche
All’homo faber del XX secolo, che ha riscoperto con il supramoralismo il proprio compito creativo divino, si apre il campo d’azione delle sterminate steppe e degli oceani stellari.
L’uscita nel cosmo è vista da Fjodorov come indispensabile per diversi motivi, alcuni dei quali abbiamo già intravisto in precedenza: la piena padronanza dei processi meteorologici richiede la capacità di operare su una scala tellurico-cosmica, cioè di saper dominare i fenomeni naturali che sono sulla Terra e nel sistema solare e oltre, data la loro inestricabile interdipendenza; per resuscitare i padri, sarà necessario andare alla ricerca delle particelle atomiche sparse sulla Terra e nello spazio; per la necessità, dovute a questioni di sovraffollamento della Terra, di rendere abitabili i pianeti che ruotano intorno al sole agli uomini che hanno finalmente raggiunto l’immortalità grazie alla conoscenza dei processi che portano alla decomposizione dei corpi e alla resurrezione degli antenati, resi anch’essi immortali; per portare razionalità ed ordine sul caos verso il quale si muove la natura e l’universo, trasformando e armonizzando i pianeti del sistema solare alla stregua di un nascente apparato nervoso; infine, per la necessità umana di scoprire cosa c’è in cielo, cosa si nasconde dietro il buio degli spazi siderali e le luci incandescenti delle stelle.
All’homo faber del XX secolo, che ha riscoperto con il supramoralismo il proprio compito creativo divino, si apre il campo d’azione delle sterminate steppe e degli oceani stellari.
L’uscita nel cosmo è vista da Fjodorov come indispensabile per diversi motivi, alcuni dei quali abbiamo già intravisto in precedenza: la piena padronanza dei processi meteorologici richiede la capacità di operare su una scala tellurico-cosmica, cioè di saper dominare i fenomeni naturali che sono sulla Terra e nel sistema solare e oltre, data la loro inestricabile interdipendenza; per resuscitare i padri, sarà necessario andare alla ricerca delle particelle atomiche sparse sulla Terra e nello spazio; per la necessità, dovute a questioni di sovraffollamento della Terra, di rendere abitabili i pianeti che ruotano intorno al sole agli uomini che hanno finalmente raggiunto l’immortalità grazie alla conoscenza dei processi che portano alla decomposizione dei corpi e alla resurrezione degli antenati, resi anch’essi immortali; per portare razionalità ed ordine sul caos verso il quale si muove la natura e l’universo, trasformando e armonizzando i pianeti del sistema solare alla stregua di un nascente apparato nervoso; infine, per la necessità umana di scoprire cosa c’è in cielo, cosa si nasconde dietro il buio degli spazi siderali e le luci incandescenti delle stelle.
L’uomo infatti, a seguito del crollo della visione del mondo tolemaica e con la rivoluzione copernicana, con la quale ha scoperto definitivamente la dimensione cosmica della propria esistenza, ha perso le certezze che reggevano i suoi bisogni spirituali, come quello della “padrificazione” del cielo – cioè la rappresentazione dei corpi celesti come le abitazioni dei propri padri defunti – ed è alla disperata necessità di avere delle risposte: “I figli che venerano i loro padri hanno non solo conservato e difeso la polvere dei loro padri con il massimo del valore, ma hanno visto i loro padri in cielo e le loro chiese rappresentare il cielo – cioè, il mondo così come appare ai nostri sensi. Tuttavia, quando gli studiosi hanno respinto la visione del mondo tolemaica, che aveva reso la “padrificazione” del cielo possibile, e si rallegrarono che tutto era morto, che non ci fosse più il cielo e che la “padrificazione” fosse impossibile, è diventato evidente che la visione copernicana richiedeva, come prova, una “padrificazione” effettiva, vale a dire, la regolazione di tutti i mondi da parte delle generazioni passate, non nate ma ricreate, perché ogni proposizione (e la visione copernicana era e rimane un’affermazione), se non è suffragata da prove tangibili, cessa di essere un’ipotesi e diventa superstizione. Come può la visione del mondo copernicana essere concretamente provata, se non acquisiamo la facoltà di vivere al di là della Terra, in tutto l’universo? Senza la possibilità non solo di visitare, ma anche di abitare tutti i corpi celesti, non possiamo essere convinti che essi sono sistemati così come viene postulato dalla visione copernicana e non come appaiono ai nostri sensi”. Una volta che i mondi celesti saranno abitati dalle generazioni immortali riportate alla vita, ecco allora che il cielo ritornerà ad essere di nuovo “padrificato”.
Fjodorov è consapevole che, insieme alla resurrezione dei padri, l’esplorazione spaziale rappresenta una delle sfide più potenti nella capacità di catalizzazione delle energie degli uomini, perché “tutte quelle forze vitali che ora vengono sprecate in litigi, avrebbero trovato un campo di applicazione sconfinato. Ora gli uomini sarebbero gli esploratori, i nuovi esploratori dello spazio celeste. Il pregiudizio che la distesa celeste è irraggiungibile per l’uomo è cresciuto gradualmente nel corso dei secoli, ma non può essere esistito ab initio. Solo la perdita della tradizione e la separazione degli uomini di pensiero dagli uomini d’azione ha dato vita a questo pregiudizio”. Un compito sovrumano che richiederà all’uomo di dotarsi di una disciplina morale adeguata e di munirsi di nuovi e più efficienti organi corporali: “La diffusione dell’umanità sul pianeta è stata accompagnata dalla creazione di nuovi (artificiali) organi e rivestimenti. Lo scopo dell’umanità è di cambiare tutto ciò che è naturale, un dono gratuito della natura, in quello che viene creato dal lavoro. Lo spazio esterno, l’espansione al di là dei limiti del pianeta, richiede appunto un tale cambiamento radicale. (…) Tutto lo spazio celeste ed i pianeti diventeranno accessibili all’uomo solo quando sarà in grado di ricreare sè stesso dalle sostanze primordiali, dagli atomi e dalle molecole, perché solo allora sarà in grado di vivere in qualsiasi ambiente, assumere qualsiasi forma e visitare tutte le generazioni in tutti i mondi, dal più antico al più recente, il più remoto e il più vicino. (…) La grande prova di coraggio che sta innanzi all’umanità richiede le più alte virtù marziali come l’audacia e il sacrificio di sé, escludendo però ciò che è più orribile in guerra – l’uccisione di altre persone. Il destino della Terra ci convince che l’attività umana non può essere circoscritta dai limiti del pianeta”.
Nella colonizzazione degli spazi siderali sta anche una delle forme artistiche più elevate che potrà mai raggiungere la specie umana: “La capacità di vivere in tutto l’Universo, consentendo alla razza umana di colonizzare tutti i mondi, ci darà il potere di unire tutti i mondi dell’universo in un tutto artistico, in un’opera d’arte, della quale gli innumerevoli artisti, come nell’immagine del Creatore Uno e Trino, sarà l’intera razza umana, la totalità delle generazioni risorte e ricreate ispirate da Dio, dallo Spirito Santo, che non parleranno più attraverso certi individui, i profeti, ma agirà attraverso tutti i figli dell’uomo nella loro (supramorale) totalità etica o fraterna, attraverso i figli dell’uomo raggiungerà la perfezione divina (‘Voi dunque siate perfetti, come il Padre vostro che è nei cieli è perfetto’) per la causa, l’opera di restaurazione del mondo fino all’incorruttibilità sublime che aveva prima della Caduta”.
Nella colonizzazione degli spazi siderali sta anche una delle forme artistiche più elevate che potrà mai raggiungere la specie umana: “La capacità di vivere in tutto l’Universo, consentendo alla razza umana di colonizzare tutti i mondi, ci darà il potere di unire tutti i mondi dell’universo in un tutto artistico, in un’opera d’arte, della quale gli innumerevoli artisti, come nell’immagine del Creatore Uno e Trino, sarà l’intera razza umana, la totalità delle generazioni risorte e ricreate ispirate da Dio, dallo Spirito Santo, che non parleranno più attraverso certi individui, i profeti, ma agirà attraverso tutti i figli dell’uomo nella loro (supramorale) totalità etica o fraterna, attraverso i figli dell’uomo raggiungerà la perfezione divina (‘Voi dunque siate perfetti, come il Padre vostro che è nei cieli è perfetto’) per la causa, l’opera di restaurazione del mondo fino all’incorruttibilità sublime che aveva prima della Caduta”.
***
Questo il pensiero dirompente ed impressionante di Fjodorov, che è solo apparentemente discordante con la vita ascetica che soleva condurre. La sua morte, avvenuta nel 1903, fu a causa di una polmonite che si prese per il rifiuto di indossare abiti pesanti durante un inverno particolarmente rigido.
Fjodorov, durante gli anni centrali della sua esistenza, ebbe modo di conoscere molto da vicino un giovanotto che frequentava avidamente la sua biblioteca in cerca di libri da leggere; il ragazzo non andava a scuola e stava compiendo la sua formazione da autodidatta. Il ‘Socrate di Mosca’ gli procurava e gli passava i libri che considerava migliori… Quel ragazzino si chiamava Konstantin Tzjolkovskij.
Fjodorov, durante gli anni centrali della sua esistenza, ebbe modo di conoscere molto da vicino un giovanotto che frequentava avidamente la sua biblioteca in cerca di libri da leggere; il ragazzo non andava a scuola e stava compiendo la sua formazione da autodidatta. Il ‘Socrate di Mosca’ gli procurava e gli passava i libri che considerava migliori… Quel ragazzino si chiamava Konstantin Tzjolkovskij.
3. Konstantin Tzjolkovskij
«La Terra è la culla dell’umanità, ma non si può vivere per sempre in questa culla».
«La Terra è la culla dell’umanità, ma non si può vivere per sempre in questa culla».
Una vita, un solo scopo: conquistare lo spazio
Konstantin Tzjolkovskij è nato nel 1857 a Izhevskoe ed è morto nel 1935 a Mosca, è sicuramente più conosciuto di Fjodorov per via dei suoi lavori di carattere tecnico-scientifico che hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo della missilistica e all’astronautica a livello mondiale e al primato del programma spaziale sovietico; a fondamento di questi suoi lavori stava una visione del mondo altrettanto importante e significativa ma meno conosciuta, la filosofia cosmista, che lo rendono d’ufficio un esponente di primo piano del cosmismo.
Ma partiamo dall’inizio.
Nato da una famiglia della classe media, all’età di nove anni Konstantin prese la scarlattina e subì delle forti menomazioni all’apparato uditivo che in seguito non gli avrebbero permesso di proseguire regolarmente gli studi alle scuole elementari.
Poco dopo perse la sua amata madre, lutto che contribuì a renderlo sempre più chiuso in se stesso. Cominciò poi ad imparare da autodidatta, studiando i libri della biblioteca del padre, interessandosi di matematica e fisica. Tzjolkovskij ricorda così quel periodo: “C’erano pochissimi libri, e non ho avuto nessun insegnante, quindi ho dovuto creare e ideare piuttosto che assorbire e assimilare da altri. Non ci sono stati suggerimenti, nessun aiuto da qualunque parte; c’erano tantissime cose che non riuscivo a capire in quei libri, e ho dovuto comprenderle tutte da solo. In poche parole, l’elemento creativo, l’elemento di auto-sviluppo e di originalità, erano predominanti”.
All’età di sedici anni il padre lo inviò a Mosca per completare la sua formazione con un’educazione privata. Qui il giovane Konstantin cominciò a frequentare per tre anni ininterrottamente la biblioteca della città dove lavorava Nikolai Fjodorov. Il ‘Socrate di Mosca’ l’avrebbe aiutato nello studio della matematica e nella sua formazione culturale riservandogli i migliori libri della biblioteca. Questo, nelle parole di Konstantin, il ricordo del loro primo incontro: “Successe in una delle mie prime visite. Sono entrato ed ecco quello che vidi: una decina di persone, soprattutto studenti, si affollava intorno al bibliotecario. Ero timido. Rimasi lì in attesa che il bibliotecario si liberasse. Ebbi il tempo di osservarlo: una testa calva, intorno ad essa scendevano riccioli bianchi, le sopracciglia erano di color carbone-nero e, sorprendentemente, aveva degli occhi energici. Sembrava sulla cinquantina, ma aveva movimenti giovanili – veloci e taglienti. Quando l’ultimo studente ebbe finito, il bibliotecario mi notò e fece cenno di avvicinarmi. A quanto pare avevo un’espressione nervosa, perché mi sorrise in modo incoraggiante. Se solo aveste potuto vedere il suo sorriso! Lo cambiò e lo illuminò tutto in una volta. Era così affabile e aperto, similmente al modo in cui un padre sorride ad un figlio o un fratello al proprio fratello. Ma questa era la prima volta che mi aveva visto. Fui subito riempito di affetto per lui e, avendo dimenticato la mia precedente timidezza, gli andai incontro. Egli mi chiese allegramente:
“Cosa vuoi leggere?”.
“Dammi, se puoi, ‘La storia della guerra dei contadini’”.
“Questo libro è proibito”.
“Può parlare più forte, per favore? Non la sento bene”.
“Il libro è pro-i-bi-to!”.
Le parole suonarono così dure, come per dire: “Guarda con che tipi di lettori abbiamo a che fare – vogliono anche i libri proibiti!”. Ma i suoi occhi erano allegri e sorridenti. Non c’era molta gente in giro e non sapevo cosa dire. Se ne andò da qualche parte, tornò in fretta, e mi porse un libro. Gli chiesi:
“Cos’è?”.
“‘La storia della guerra dei contadini’”.
“Ma non è proibito questo libro?”.
“Prendilo!”.
Konstantin Tzjolkovskij è nato nel 1857 a Izhevskoe ed è morto nel 1935 a Mosca, è sicuramente più conosciuto di Fjodorov per via dei suoi lavori di carattere tecnico-scientifico che hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo della missilistica e all’astronautica a livello mondiale e al primato del programma spaziale sovietico; a fondamento di questi suoi lavori stava una visione del mondo altrettanto importante e significativa ma meno conosciuta, la filosofia cosmista, che lo rendono d’ufficio un esponente di primo piano del cosmismo.
Ma partiamo dall’inizio.
Nato da una famiglia della classe media, all’età di nove anni Konstantin prese la scarlattina e subì delle forti menomazioni all’apparato uditivo che in seguito non gli avrebbero permesso di proseguire regolarmente gli studi alle scuole elementari.
Poco dopo perse la sua amata madre, lutto che contribuì a renderlo sempre più chiuso in se stesso. Cominciò poi ad imparare da autodidatta, studiando i libri della biblioteca del padre, interessandosi di matematica e fisica. Tzjolkovskij ricorda così quel periodo: “C’erano pochissimi libri, e non ho avuto nessun insegnante, quindi ho dovuto creare e ideare piuttosto che assorbire e assimilare da altri. Non ci sono stati suggerimenti, nessun aiuto da qualunque parte; c’erano tantissime cose che non riuscivo a capire in quei libri, e ho dovuto comprenderle tutte da solo. In poche parole, l’elemento creativo, l’elemento di auto-sviluppo e di originalità, erano predominanti”.
All’età di sedici anni il padre lo inviò a Mosca per completare la sua formazione con un’educazione privata. Qui il giovane Konstantin cominciò a frequentare per tre anni ininterrottamente la biblioteca della città dove lavorava Nikolai Fjodorov. Il ‘Socrate di Mosca’ l’avrebbe aiutato nello studio della matematica e nella sua formazione culturale riservandogli i migliori libri della biblioteca. Questo, nelle parole di Konstantin, il ricordo del loro primo incontro: “Successe in una delle mie prime visite. Sono entrato ed ecco quello che vidi: una decina di persone, soprattutto studenti, si affollava intorno al bibliotecario. Ero timido. Rimasi lì in attesa che il bibliotecario si liberasse. Ebbi il tempo di osservarlo: una testa calva, intorno ad essa scendevano riccioli bianchi, le sopracciglia erano di color carbone-nero e, sorprendentemente, aveva degli occhi energici. Sembrava sulla cinquantina, ma aveva movimenti giovanili – veloci e taglienti. Quando l’ultimo studente ebbe finito, il bibliotecario mi notò e fece cenno di avvicinarmi. A quanto pare avevo un’espressione nervosa, perché mi sorrise in modo incoraggiante. Se solo aveste potuto vedere il suo sorriso! Lo cambiò e lo illuminò tutto in una volta. Era così affabile e aperto, similmente al modo in cui un padre sorride ad un figlio o un fratello al proprio fratello. Ma questa era la prima volta che mi aveva visto. Fui subito riempito di affetto per lui e, avendo dimenticato la mia precedente timidezza, gli andai incontro. Egli mi chiese allegramente:
“Cosa vuoi leggere?”.
“Dammi, se puoi, ‘La storia della guerra dei contadini’”.
“Questo libro è proibito”.
“Può parlare più forte, per favore? Non la sento bene”.
“Il libro è pro-i-bi-to!”.
Le parole suonarono così dure, come per dire: “Guarda con che tipi di lettori abbiamo a che fare – vogliono anche i libri proibiti!”. Ma i suoi occhi erano allegri e sorridenti. Non c’era molta gente in giro e non sapevo cosa dire. Se ne andò da qualche parte, tornò in fretta, e mi porse un libro. Gli chiesi:
“Cos’è?”.
“‘La storia della guerra dei contadini’”.
“Ma non è proibito questo libro?”.
“Prendilo!”.
Non si sa comunque molto di più in merito al rapporto intercorso tra i due, non sappiamo se discussero mai di esplorazioni spaziali o se Tzjolkovskij sottopose al vecchio filosofo la prima storia di science fictionche andava scrivendo e che sarà pubblicata solo molti anni più tardi. Di certo alcune idee di Fjodorov, soprattutto la sua propensione cosmica che si esprimeva nella conquista dello spazio e nella volontà di regolamentazione ‘tellurico-solare’ della natura attraverso il lavoro creativo dell’uomo, trovarono convinta accoglienza in Tzjolkovskij, che si è prodigato per tutta la vita a dare loro un fondamento tecnico-scientifico. E benché in seguito Tzjolkovskij prenderà le distanze dalla visione filosofica complessiva di Fjodorov, da lui assorbe definitivamente l’idea che la vera casa dell’uomo debba essere nell’universo; Tzjolkovskij si definirà cittadino del cosmo e si dedicherà anima e corpo a gettare le fondamenta per la conquista dello spazio, guidato da un profondo senso di ottimismo e fiducia nelle capacità umane. “L’uomo non resterà sempre sulla Terra, la ricerca della luce e dello spazio lo porteranno a penetrare i confini dell’atmosfera, dapprima timidamente, ma alla fine a conquistare l’intero sistema solare”.
Fu in quegli anni 1873-1876 della permanenza a Mosca, che cominciò a germogliare nella mente di Tzjolkovskij l’idea che non l’avrebbe mai più abbandonato per il resto della sua vita, l’idea della possibilità di esplorare le distese infinite del cosmo. A quel tempo il giovane Konstantin aveva già pensato di raggiungere le velocità cosmiche utilizzando gli effetti della forza centrifuga. Tzjolkovskij ricorderà così i momenti in cui per la prima volta provò la vertiginosa ebrezza di aver a portata di mano le sterminate steppe galattiche: “Ero emozionato e sbalordito a tal punto che non riuscii a dormire per tutta la notte; vagai per Mosca e continuai a pensare alle grandi conseguenze della mia scoperta. Ma già dalla mattina mi convinsi che la mia invenzione non era sostenibile. La delusione fu intensa tanto quanto era stato l’incanto precedente. Quella notte lasciò un’impronta che è durata per tutta la vita; trent’anni dopo mi capita ancora di sognare che mi sto sollevando verso le stelle nella mia macchina e provo la stessa gioia, come ho fatto quella notte indimenticabile”.
Raggiunta l’età adulta, Tzjolkovskij diventerà insegnate di scuola e dopo la rivoluzione bolscevica, ottenuto un aiuto economico diretto dallo stato per il sostentamento della sua ricerca scientifica, potrà dedicarsi esclusivamente ai suoi lavori, continuando ad essere uno scienziato autodidatta sui generis, passando la maggior parte della propria vita in una casetta immersa nella natura vicino alla piccola cittadina di Kaluga.
L’eredità di Tzjolkovskij consiste in più di 400 opere scientifiche tra saggi sulla dinamica dei razzi e disegni sui missili, problemi di geofisica ed astronomia, calcoli e previsioni, investigazioni su problemi di fisica come le proprietà della materia, l’energia e la struttura dell’atomo; studi di ingegneria energetica e lavori di geologia, geochimica e biologia; sono altrettanto significative le sue opere di carattere filosofico e i suoi romanzi di science fiction sui viaggi interplanetari. Anzi, è in questi ultimi racconti di fantascienza – a cui Tzjolkovskij attribuiva un’importanza fondamentale – che si riesce a comprendere la sua visione del mondo, l’idea che gli ha fatto da fondamento per tutta la vita, e che ha dato nutrimento e linfa ai suoi lavori più strettamente scientifici; sarà lo stesso Tzjolkovskij a sottolineare con forza quest’aspetto: “All’inizio c’è necessariamente un’idea, una fantasia, una fiaba, e poi vengono i calcoli scientifici; alla fine l’esecuzione corona il pensiero. Il mio lavoro ha a che fare con la fase centrale della creatività. Più di chiunque altro, sono consapevole del baratro che separa un’idea dalla sua realizzazione, perché per tutta la mia vita ho fatto non solo molti calcoli, ma ho anche lavorato con le mie mani. Ma ci dev’essere un’idea; l’esecuzione dev’essere preceduta da un’idea, i calcoli precisi dalla fantasia”.
Fin dall’inizio il problema più pressante di Tzjolkovskij fu quello di trovare un metodo per superare la forza di gravità della Terra. Quando aveva 15 anni imparò su un libro di testo di fisica che per farlo era necessario sviluppare una velocità di almeno 28 mila chilometri all’ora. Ma Tzjolkovskij non sapeva che forma dovesse avere questo veicolo volante.
Arrivò alla soluzione diversi anni dopo quando nel 1903 pubblicò la sua opera scientifica più importante, “L’esplorazione dello spazio cosmico per mezzo di dispositivi a reazione”, nella quale spiegava in dettaglio la sua idea, descrivendo, tra le altre cose, la relazione matematica – oggi comunemente nota come ‘formula di Tzjolkovskij’- relativa al movimento di un razzo ideale con la sua massa, la massa del carburante e la velocità di scarico. “Come mezzo d’investigazione dell’atmosfera, propongo un dispositivo a razzo, ma di dimensioni immense e costruito in modo particolare. L’idea non è nuova, ma i calcoli ad esso relativi sono così sorprendenti che sarebbe un delitto non parlarne. (…) Un razzo-missile può allontanarsi dalla Terra, navigare nello spazio interplanetario e nello spazio interstellare, visitare i pianeti e i loro satelliti, anelli, o altri corpi celesti, e poi tornare a Terra. L’unica condizione è che ci sia abbastanza propellente”.
Raggiunta l’età adulta, Tzjolkovskij diventerà insegnate di scuola e dopo la rivoluzione bolscevica, ottenuto un aiuto economico diretto dallo stato per il sostentamento della sua ricerca scientifica, potrà dedicarsi esclusivamente ai suoi lavori, continuando ad essere uno scienziato autodidatta sui generis, passando la maggior parte della propria vita in una casetta immersa nella natura vicino alla piccola cittadina di Kaluga.
L’eredità di Tzjolkovskij consiste in più di 400 opere scientifiche tra saggi sulla dinamica dei razzi e disegni sui missili, problemi di geofisica ed astronomia, calcoli e previsioni, investigazioni su problemi di fisica come le proprietà della materia, l’energia e la struttura dell’atomo; studi di ingegneria energetica e lavori di geologia, geochimica e biologia; sono altrettanto significative le sue opere di carattere filosofico e i suoi romanzi di science fiction sui viaggi interplanetari. Anzi, è in questi ultimi racconti di fantascienza – a cui Tzjolkovskij attribuiva un’importanza fondamentale – che si riesce a comprendere la sua visione del mondo, l’idea che gli ha fatto da fondamento per tutta la vita, e che ha dato nutrimento e linfa ai suoi lavori più strettamente scientifici; sarà lo stesso Tzjolkovskij a sottolineare con forza quest’aspetto: “All’inizio c’è necessariamente un’idea, una fantasia, una fiaba, e poi vengono i calcoli scientifici; alla fine l’esecuzione corona il pensiero. Il mio lavoro ha a che fare con la fase centrale della creatività. Più di chiunque altro, sono consapevole del baratro che separa un’idea dalla sua realizzazione, perché per tutta la mia vita ho fatto non solo molti calcoli, ma ho anche lavorato con le mie mani. Ma ci dev’essere un’idea; l’esecuzione dev’essere preceduta da un’idea, i calcoli precisi dalla fantasia”.
Fin dall’inizio il problema più pressante di Tzjolkovskij fu quello di trovare un metodo per superare la forza di gravità della Terra. Quando aveva 15 anni imparò su un libro di testo di fisica che per farlo era necessario sviluppare una velocità di almeno 28 mila chilometri all’ora. Ma Tzjolkovskij non sapeva che forma dovesse avere questo veicolo volante.
Arrivò alla soluzione diversi anni dopo quando nel 1903 pubblicò la sua opera scientifica più importante, “L’esplorazione dello spazio cosmico per mezzo di dispositivi a reazione”, nella quale spiegava in dettaglio la sua idea, descrivendo, tra le altre cose, la relazione matematica – oggi comunemente nota come ‘formula di Tzjolkovskij’- relativa al movimento di un razzo ideale con la sua massa, la massa del carburante e la velocità di scarico. “Come mezzo d’investigazione dell’atmosfera, propongo un dispositivo a razzo, ma di dimensioni immense e costruito in modo particolare. L’idea non è nuova, ma i calcoli ad esso relativi sono così sorprendenti che sarebbe un delitto non parlarne. (…) Un razzo-missile può allontanarsi dalla Terra, navigare nello spazio interplanetario e nello spazio interstellare, visitare i pianeti e i loro satelliti, anelli, o altri corpi celesti, e poi tornare a Terra. L’unica condizione è che ci sia abbastanza propellente”.
Due decenni prima che Robert Goddard lanciasse il primo razzo a propellente liquido al mondo, Tzjolkovskij aveva pensato di alimentare il motore del razzo con una miscela di ossigeno e idrogeno liquido; una miscela che ancora oggi è considerata come il propellente più efficiente per i razzi. Non deve quindi sorprendere che la dinamica dei missili sia una scienza del XX secolo i cui principi fondamentali si ritrovano quasi tutti nei libri di Tzjolkovskij.
Tzjolkovskij era consapevole dell’importanza dei suoi lavori, che considerava come le fondamenta di un percorso entusiasmante i cui sviluppi futuri erano difficilmente immaginabili: “Il mio lavoro non si occupa di tutti gli aspetti del problema e non cerca di proporre la sua realizzazione concreta, ma attraverso la nebbia del tempo si può discernere nel futuro le più belle ed emozionanti prospettive, che oggi quasi nessuno oserebbe sognare”.
Tzjolkovskij era consapevole dell’importanza dei suoi lavori, che considerava come le fondamenta di un percorso entusiasmante i cui sviluppi futuri erano difficilmente immaginabili: “Il mio lavoro non si occupa di tutti gli aspetti del problema e non cerca di proporre la sua realizzazione concreta, ma attraverso la nebbia del tempo si può discernere nel futuro le più belle ed emozionanti prospettive, che oggi quasi nessuno oserebbe sognare”.
Tzjolkovskij non ha mai detto una parola sulla possibilità di utilizzare questi razzi come mezzi di attacco per scopi bellici, per lui tutto era per il bene dell’umanità, per l’ulteriore progresso della scienza, per padroneggiare le leggi della natura. Tzjolkovskij riconosceva solo una forma di guerra, la guerra contro l’ignoranza e l’imperfezione della natura e dell’uomo. “E’ necessario lottare contro la pressione dei gas, i raggi assassini del sole, l’imperfezione della natura dell’uomo e delle piante. E’ inevitabile che l’umanità debba lottare per il benessere, per la conoscenza e la perfezione degli esseri umani, e così via”.
Uno degli obiettivi finali di tutta la sua ricerca missilistica era quello di trovare la soluzione scientifica al problema dei viaggi nel cosmo, e di dotare l’umanità di un metodo tecnico affidabile per padroneggiare lo spazio all’interno del sistema solare. Per raggiungere questo scopo “dobbiamo cominciare a studiare, come primo passo, le principali leggi che regolano l’universo. Per farlo, dobbiamo avere esperienza diretta dell’universo che sarà possibile solo una volta che vivremo nello spazio. Per dare inizio a questo lungo periodo della nostra evoluzione, dobbiamo progettare grandi razzi spaziali con equipaggio”. Per Tzjolkovskij, l’esplorazione spaziale ha un significato epocale nella storia dell’umanità e rappresenta l’inizio di una nuova fase evolutiva dell’uomo: “Il primo volo spaziale sarà l’inizio, non solo della nuova era dell’esplorazione dello spazio; sarà l’inizio della cultura spaziale nella storia dell’umanità; sarà l’inizio della nostra evoluzione verso la felicità”.
Il volo interplanetario avrebbe offerto infinite possibilità per la ricerca scientifica. L’immenso laboratorio della natura sarebbe diventato di più facile accesso, e sarebbe diventato più semplice comprendere cosa vi accadeva. Anche ai tempi di Tzjolkovskij era pieno di scettici, e di coloro che si rifiutavano di accettare la corsa senza sosta del lavoro creativo dell’uomo, ponendogli davanti limiti ritenuti invalicabili; a loro pensava Tzjolkovskij quando scriveva: “C’è stato un tempo – non molto tempo fa – quando la possibilità di conoscere la composizione dei corpi celesti veniva considerata senza speranza dal meglio degli scienziati e dei pensatori. Ora quel tempo è passato e andato. Ma penso che oggi l’idea di un più vicino e diretto studio dell’universo sarebbe considerata ancora più folle. Mettere il piede sul suolo di un asteroide, sollevare con una mano un sasso sulla superficie della luna, stabilire basi orbitali nello spazio, creare anelli abitati intorno alla Terra, alla luna e al sole, osservare Marte da una distanza di pochi chilometri, posarsi su uno dei suoi satelliti o anche sul pianeta stesso – può esserci qualcosa di più pazzo? Ma l’impiego dei dispositivi a razzo aprirà una nuova era in astronomia – l’era di uno studio più approfondito del cielo. Che l’enorme forza di gravità ci paia più terribile di quanto dovrebbe essere? (…) Un proiettile di artiglieria sparato ad una velocità di 2 km/sec non ci meraviglia. Perché, allora, dovrebbe inspirarci terrore un proiettile che viaggia ad una velocità di 16 km/sec e lascia per sempre il sistema solare per l’infinito, dopo aver superato la gravità della terra, del sole e dell’intero sistema solare? Sono i numeri 2 e 16 così lontani? Quest’ultimo è solo 8 volte superiore al primo. Se un’unità di velocità è raggiunta, perché non può essere l’8 questa unità? Non osserviamo un progresso e uno sviluppo mozzafiato in tutte le cose? (…) Erano così lontani i tempi in cui le nostre nonne erano terrorizzate a muoversi sul terreno ad una velocità di dieci km/h? E non è vero che le automobili al giorno d’oggi si muovono ad una velocità di 100-200 km/h, cioè dieci, venti volte più velocemente che ai tempi di Newton? Erano così lontani i tempi in cui qualsiasi altra forza che non fosse quella dei muscoli, del vento e dell’acqua pareva contro natura? Una volta che si è partiti, non si finisce mai!”.
Nelle sue opere tecnico-scientifiche Tzjolkovskij ha anche gettato le basi di una disciplina fisica che in seguito sarà definita come quella della ‘gravità zero’. Tzjolkovskij aveva compreso che l’ambiente spaziale non avrebbe ucciso un essere umano ed era sicuro che l’uomo sarebbe riuscito ad adattarsi allo spazio e sarebbe riuscito a neutralizzare gli effetti pericolosi dell’assenza di gravità.
Uno degli obiettivi finali di tutta la sua ricerca missilistica era quello di trovare la soluzione scientifica al problema dei viaggi nel cosmo, e di dotare l’umanità di un metodo tecnico affidabile per padroneggiare lo spazio all’interno del sistema solare. Per raggiungere questo scopo “dobbiamo cominciare a studiare, come primo passo, le principali leggi che regolano l’universo. Per farlo, dobbiamo avere esperienza diretta dell’universo che sarà possibile solo una volta che vivremo nello spazio. Per dare inizio a questo lungo periodo della nostra evoluzione, dobbiamo progettare grandi razzi spaziali con equipaggio”. Per Tzjolkovskij, l’esplorazione spaziale ha un significato epocale nella storia dell’umanità e rappresenta l’inizio di una nuova fase evolutiva dell’uomo: “Il primo volo spaziale sarà l’inizio, non solo della nuova era dell’esplorazione dello spazio; sarà l’inizio della cultura spaziale nella storia dell’umanità; sarà l’inizio della nostra evoluzione verso la felicità”.
Il volo interplanetario avrebbe offerto infinite possibilità per la ricerca scientifica. L’immenso laboratorio della natura sarebbe diventato di più facile accesso, e sarebbe diventato più semplice comprendere cosa vi accadeva. Anche ai tempi di Tzjolkovskij era pieno di scettici, e di coloro che si rifiutavano di accettare la corsa senza sosta del lavoro creativo dell’uomo, ponendogli davanti limiti ritenuti invalicabili; a loro pensava Tzjolkovskij quando scriveva: “C’è stato un tempo – non molto tempo fa – quando la possibilità di conoscere la composizione dei corpi celesti veniva considerata senza speranza dal meglio degli scienziati e dei pensatori. Ora quel tempo è passato e andato. Ma penso che oggi l’idea di un più vicino e diretto studio dell’universo sarebbe considerata ancora più folle. Mettere il piede sul suolo di un asteroide, sollevare con una mano un sasso sulla superficie della luna, stabilire basi orbitali nello spazio, creare anelli abitati intorno alla Terra, alla luna e al sole, osservare Marte da una distanza di pochi chilometri, posarsi su uno dei suoi satelliti o anche sul pianeta stesso – può esserci qualcosa di più pazzo? Ma l’impiego dei dispositivi a razzo aprirà una nuova era in astronomia – l’era di uno studio più approfondito del cielo. Che l’enorme forza di gravità ci paia più terribile di quanto dovrebbe essere? (…) Un proiettile di artiglieria sparato ad una velocità di 2 km/sec non ci meraviglia. Perché, allora, dovrebbe inspirarci terrore un proiettile che viaggia ad una velocità di 16 km/sec e lascia per sempre il sistema solare per l’infinito, dopo aver superato la gravità della terra, del sole e dell’intero sistema solare? Sono i numeri 2 e 16 così lontani? Quest’ultimo è solo 8 volte superiore al primo. Se un’unità di velocità è raggiunta, perché non può essere l’8 questa unità? Non osserviamo un progresso e uno sviluppo mozzafiato in tutte le cose? (…) Erano così lontani i tempi in cui le nostre nonne erano terrorizzate a muoversi sul terreno ad una velocità di dieci km/h? E non è vero che le automobili al giorno d’oggi si muovono ad una velocità di 100-200 km/h, cioè dieci, venti volte più velocemente che ai tempi di Newton? Erano così lontani i tempi in cui qualsiasi altra forza che non fosse quella dei muscoli, del vento e dell’acqua pareva contro natura? Una volta che si è partiti, non si finisce mai!”.
Nelle sue opere tecnico-scientifiche Tzjolkovskij ha anche gettato le basi di una disciplina fisica che in seguito sarà definita come quella della ‘gravità zero’. Tzjolkovskij aveva compreso che l’ambiente spaziale non avrebbe ucciso un essere umano ed era sicuro che l’uomo sarebbe riuscito ad adattarsi allo spazio e sarebbe riuscito a neutralizzare gli effetti pericolosi dell’assenza di gravità.
Negli anni ’20, nella Russia sovietica, Tzjolkovskij pubblicò un’ardita scaletta in sedici punti che, in ordine cronologico, prefiguravano le tappe che la civiltà umana avrebbe percorso nella conquista del sistema solare, prima che la sua stella, il sole, si fosse spenta. Il primo passo era l’utilizzo di aerei a razzo, poi la costruzione di serre orbitanti per l’allevamento delle piante e di grandi habitat orbitali intorno alla Terra; in seguito l’uso della radiazione solare per la produzione di cibo, per il riscaldamento degli ambienti spaziali e per il trasporto in tutto il sistema solare; poi, in successione, la colonizzazione della fascia degli asteroidi e di tutto il sistema solare, mentre sulla Terra si avviava la realizzazione della perfezione individuale e sociale. Nel momento in cui si verifica una condizione di sovraffollamento del sistema solare, sarà necessario proseguire con la colonizzazione della Via Lattea fino a quando, per via della progressiva morte del sole, anche le persone rimaste nel sistema solare si sposteranno verso altre stelle. Così per Tzjolkovskij, “con ogni probabilità, la parte migliore dell’umanità non morirà mai, ma si muoverà da sole a sole parallelamente alla loro estinzione. Tra molte decine di milioni di anni l’umanità potrebbe vivere vicino ad un sole che oggi non è neppure accesso ma esiste solo in embrione, in forma di materia nebulosa progettata per l’eternità e per alti scopi”.
Altre teorie di Tzjolkovskij sui viaggi e le esplorazioni spaziali prevedevano la creazione di stazioni orbitali alimentate da energia solare e un ascensore orbitale che avrebbe ridotto notevolmente i costi di trasporto dalla Terra allo spazio.
Altre teorie di Tzjolkovskij sui viaggi e le esplorazioni spaziali prevedevano la creazione di stazioni orbitali alimentate da energia solare e un ascensore orbitale che avrebbe ridotto notevolmente i costi di trasporto dalla Terra allo spazio.
Da queste brevi informazioni sui lavori di Tzjolkovskij, da quelli tecnico-scientifici a quelli di futurologia, si capisce come molti ingegneri missilistici che hanno segnato la storia dell’astronautica a livello mondiale, da Wernher von Braun a Sergey Korolev, lo abbiamo considerato come una stella polare che gli ha indicato la direzione da seguire. Per esempio, anche il noto scienziato tedesco e ricercatore della propulsione a reazione nello spazio, Hermann Oberth, non resistette a comunicargli, nel 1929, le seguenti parole: “Voi avete acceso un fuoco, e noi non lo lasceremo morire, ma compieremo ogni sforzo per far sì che il più grande sogno dell’umanità si avveri“.
Ma Tzjolkovskij sarà soprattutto la pietra angolare su cui sarà edificata la scienza spaziale e missilistica sovietica, che raggiungerà primati indiscussi a livello mondiale, il più famoso dei quali fu l’invio del primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin.
Oltrechè su Koroljov, Tzjolkovskij ebbe infatti un enorme influenza anche su un altro grande ingegnere aeronautico sovietico. Nell’autunno del 1923, ricevette una lettera da un ragazzino allora quindicenne, Valentin Glushko, che gli chiedeva le copie dei suoi scritti tecnico-scientifici. Seguirono diversi anni di corrispondenza tra Tzjolkovskij e Glushko; il giovane Valentin sarebbe poi cresciuto fino a diventare il padre del razzo a propulsione sovietico.
Il nuovo governo bolscevico riconobbe fin da subito l’importanza dei lavori scientifici di Tzjolkovskij fornendogli assistenza e sostegno. Tzjolkovskij ne sarebbe stato riconoscente fino agli ultimi giorni della sua vita.
Nel settembre del 1935, pochi giorni prima della sua morte, scrisse una lettera al comitato centrale del PCUS: “E ‘stato il sogno di tutta la mia vita poter contribuire, nel mio piccolo, al progresso. Prima della Rivoluzione il mio sogno non poteva avverarsi. Solo la Rivoluzione d’Ottobre ha dato riconoscimento al lavoro di un’autodidatta. Solo il governo sovietico e il partito mi hanno dato un’assistenza efficace. Ho potuto sentire l’affetto delle masse, e questo mi ha ispirato, uomo malato, con un nuovo desiderio di continuare il mio lavoro. Al momento, però, la mia salute mi impedisce di completare l’opera iniziata. (…) Tutti i miei lavori sull’aeronautica, la missilistica, e i viaggi interplanetari li lascio al partito bolscevico e al governo sovietico, i veri leader nel progresso della cultura umana. Sono sicuro che saranno in grado di portare a termine questi lavori con successo. Con tutto il mio cuore e la mia mente, e con i miei ultimi saluti più affettuosi. Konstantin Tzjolkovskij”.
Oltrechè su Koroljov, Tzjolkovskij ebbe infatti un enorme influenza anche su un altro grande ingegnere aeronautico sovietico. Nell’autunno del 1923, ricevette una lettera da un ragazzino allora quindicenne, Valentin Glushko, che gli chiedeva le copie dei suoi scritti tecnico-scientifici. Seguirono diversi anni di corrispondenza tra Tzjolkovskij e Glushko; il giovane Valentin sarebbe poi cresciuto fino a diventare il padre del razzo a propulsione sovietico.
Il nuovo governo bolscevico riconobbe fin da subito l’importanza dei lavori scientifici di Tzjolkovskij fornendogli assistenza e sostegno. Tzjolkovskij ne sarebbe stato riconoscente fino agli ultimi giorni della sua vita.
Nel settembre del 1935, pochi giorni prima della sua morte, scrisse una lettera al comitato centrale del PCUS: “E ‘stato il sogno di tutta la mia vita poter contribuire, nel mio piccolo, al progresso. Prima della Rivoluzione il mio sogno non poteva avverarsi. Solo la Rivoluzione d’Ottobre ha dato riconoscimento al lavoro di un’autodidatta. Solo il governo sovietico e il partito mi hanno dato un’assistenza efficace. Ho potuto sentire l’affetto delle masse, e questo mi ha ispirato, uomo malato, con un nuovo desiderio di continuare il mio lavoro. Al momento, però, la mia salute mi impedisce di completare l’opera iniziata. (…) Tutti i miei lavori sull’aeronautica, la missilistica, e i viaggi interplanetari li lascio al partito bolscevico e al governo sovietico, i veri leader nel progresso della cultura umana. Sono sicuro che saranno in grado di portare a termine questi lavori con successo. Con tutto il mio cuore e la mia mente, e con i miei ultimi saluti più affettuosi. Konstantin Tzjolkovskij”.
Anche il clima di mobilitazione giovanile della rivoluzione aveva profondamente entusiasmato Tzjolkovskij, il quale poteva scrivere: “Sono orgoglioso del mio paese, sì, orgoglioso. I membri dell’Unione Comunista della Gioventù e i giovani uomini e le giovani donne studiano duro, senza perdere di vista per un solo momento il futuro del loro grande paese”.
Tzjolkovskij – conformemente all’importanza che aveva sempre attribuito alla fantasia e alla diffusione di una cultura popolare favorevole all’esplorazione spaziale attraverso le sue novelle di science fiction – negli ultimissimi anni della sua vita fu consulente di uno dei primi film di fantascienza del cinema sovietico, “Viaggio cosmico”, diretto dal regista Vasilij Zhuravlev; il film sarebbe uscito nel 1936, solo quattro mesi dopo la morte di Tzjolkovskij. La storia narra l’avventuroso viaggio verso la luna di un’equipe sovietica che, contro lo scetticismo dei propri colleghi e solo dopo aver superato numerose difficoltà, riuscirà ad atterrarvi e a fare ritorno sulla Terra sana e salva; gli astronauti sovietici dell’equipe saranno poi accolti entusiasticamente in una Mosca dagli scenari architettonici futuristi e celebrati come gli eroi che hanno finalmente aperto la strada per il cosmo all’umanità. Una decina d’anni prima, sempre in Unione Sovietica, era uscito il film di fantascienza “Aelita: la regina di Marte”, ma il film del 1936 lo superava per certe caratteristiche peculiari dovute al contributo unico ed inimitabile di Tzjolkovskij, espressosi sia nell’esattezza e nella meticolosità delle ricostruzioni tecniche – dalla navicella spaziale “CCCP1 – Josef Stalin” ai materiali usati dagli astronauti durante il viaggio – sia per il potenziale utopico e mobilitante contenuto nella pellicola. Nel suo racconto sulla realizzazione del film, il regista Zhuravlev ricordò la collaborazione che ebbe con Tzjolkovskij e come fu impressionato dalla pazienza e dalla perseveranza con la quale il grande vecchio valutava tutte le bozze della sceneggiatura e preparava gli schizzi dell’astronave, i modelli e le formule matematiche. Per Tzjolkovskij, che aveva sognato di viaggiare nello spazio per tutta la vita, il film del giovane regista Zhuravlev ha rappresentato forse l’ultima occasione per dimostrare al mondo che la fantasia e la scienza sono i due strumenti fondamentali ed inseparabili di cui dispone l’uomo per raggiungere le stelle.
Tzjolkovskij – conformemente all’importanza che aveva sempre attribuito alla fantasia e alla diffusione di una cultura popolare favorevole all’esplorazione spaziale attraverso le sue novelle di science fiction – negli ultimissimi anni della sua vita fu consulente di uno dei primi film di fantascienza del cinema sovietico, “Viaggio cosmico”, diretto dal regista Vasilij Zhuravlev; il film sarebbe uscito nel 1936, solo quattro mesi dopo la morte di Tzjolkovskij. La storia narra l’avventuroso viaggio verso la luna di un’equipe sovietica che, contro lo scetticismo dei propri colleghi e solo dopo aver superato numerose difficoltà, riuscirà ad atterrarvi e a fare ritorno sulla Terra sana e salva; gli astronauti sovietici dell’equipe saranno poi accolti entusiasticamente in una Mosca dagli scenari architettonici futuristi e celebrati come gli eroi che hanno finalmente aperto la strada per il cosmo all’umanità. Una decina d’anni prima, sempre in Unione Sovietica, era uscito il film di fantascienza “Aelita: la regina di Marte”, ma il film del 1936 lo superava per certe caratteristiche peculiari dovute al contributo unico ed inimitabile di Tzjolkovskij, espressosi sia nell’esattezza e nella meticolosità delle ricostruzioni tecniche – dalla navicella spaziale “CCCP1 – Josef Stalin” ai materiali usati dagli astronauti durante il viaggio – sia per il potenziale utopico e mobilitante contenuto nella pellicola. Nel suo racconto sulla realizzazione del film, il regista Zhuravlev ricordò la collaborazione che ebbe con Tzjolkovskij e come fu impressionato dalla pazienza e dalla perseveranza con la quale il grande vecchio valutava tutte le bozze della sceneggiatura e preparava gli schizzi dell’astronave, i modelli e le formule matematiche. Per Tzjolkovskij, che aveva sognato di viaggiare nello spazio per tutta la vita, il film del giovane regista Zhuravlev ha rappresentato forse l’ultima occasione per dimostrare al mondo che la fantasia e la scienza sono i due strumenti fondamentali ed inseparabili di cui dispone l’uomo per raggiungere le stelle.
Il cosmismo di Tzjolkovskij tra panpsichismo ed eugenetica
Se il grande uomo scienziato, padre della missilistica e futurologo, godette di assoluta fama e considerazione e, dopo la sua morte, di riconoscimenti e commemorazioni, lo fu meno per il Tzjolkovskij filosofo, ancora più eclettico ed ardito di quanto non fosse il Tzjolkovskij scienziato.
Dal punto di vista filosofico Tzjolkovskij era un monista, faceva sua una visione del mondo secondo cui tutte le parti componenti dell’universo – anche quelle più distanti – erano le stesse e dove le medesime leggi naturali dovevano essere applicate dappertutto. Così descrive il monismo lo stesso Tzjolkovskij: “Noi sosteniamo il monismo nell’universo, e niente di più. L’intero processo della scienza è costituito da questa tensione verso il monismo, verso l’unità, verso la sorgente elementare. Il successo della scienza è determinato dal livello di avvicinamento all’unità. Il monismo nella scienza deriva dalla struttura dell’universo. (…) E’ impossibile negare l’unità o una specie di monotonia nella struttura e nella formazione dell’universo: l’unità della materia, della luce, della gravità, della vita, e così via“.
Il monismo di Tzjolkovskij era legato alla sua visione panpsichista. Tzjolkovskij vedeva l’uomo e l’universo come costituito di atomi. “Non sono solo un materialista”, ha scritto Tzjolkovskij, “ma anche un panpsichista, che riconosce un senso di sensibilità in tutto l’universo”. Ogni atomo poteva essere scomposto nelle sue parti elementari, ed ognuno di questi elementi era in vita con una propria esistenza individuale. Tzjolkovskij considerava gli atomi e i loro componenti come immortali, e “perciò la materia decaduta si rinnova ancora una volta e riproduce la vita, una vita che è ancora più perfetta, secondo la legge del progresso. Così l’intero universo è vivo e dappertutto si trova la base per l’intelligenza, se non la sua espressione in esseri superiori”.
Per Tzjolkovskij ogni sostanza ha una sensibilità – la capacità di percepire il piacevole e lo spiacevole – di grado diverso. La sensibilità si riduce dall’uomo all’animale fino alla materia, ma non scompare mai del tutto, perché non vi è alcun chiaro confine tra i corpi viventi e quelli non viventi. “Qual è la differenza tra le cose viventi e le cose che sono morte?”, si domanda Tzjolkovskij. “Si può veramente dire che nelle cose che sono morte ci sono atomi diversi, o che le collisioni tra gli atomi sono differenti?”. Per Tzjolkovskij “nell’universo, sia in quello vivente che in quello inerte, noi vediamo sempre la medesima cosa: movimento di sostanze e fenomeni fisico-chimici. Pertanto non può esistere alcuna differenza ‘qualitativa’ tra ciò che è vivo e ciò che è morto. Tutto vive, ma in modi diversi. Le differenze sono solo in quantità, forma o intensità. I termini di ‘vivo’ e di ‘morto’ sono solo condizionali”.
Se il grande uomo scienziato, padre della missilistica e futurologo, godette di assoluta fama e considerazione e, dopo la sua morte, di riconoscimenti e commemorazioni, lo fu meno per il Tzjolkovskij filosofo, ancora più eclettico ed ardito di quanto non fosse il Tzjolkovskij scienziato.
Dal punto di vista filosofico Tzjolkovskij era un monista, faceva sua una visione del mondo secondo cui tutte le parti componenti dell’universo – anche quelle più distanti – erano le stesse e dove le medesime leggi naturali dovevano essere applicate dappertutto. Così descrive il monismo lo stesso Tzjolkovskij: “Noi sosteniamo il monismo nell’universo, e niente di più. L’intero processo della scienza è costituito da questa tensione verso il monismo, verso l’unità, verso la sorgente elementare. Il successo della scienza è determinato dal livello di avvicinamento all’unità. Il monismo nella scienza deriva dalla struttura dell’universo. (…) E’ impossibile negare l’unità o una specie di monotonia nella struttura e nella formazione dell’universo: l’unità della materia, della luce, della gravità, della vita, e così via“.
Il monismo di Tzjolkovskij era legato alla sua visione panpsichista. Tzjolkovskij vedeva l’uomo e l’universo come costituito di atomi. “Non sono solo un materialista”, ha scritto Tzjolkovskij, “ma anche un panpsichista, che riconosce un senso di sensibilità in tutto l’universo”. Ogni atomo poteva essere scomposto nelle sue parti elementari, ed ognuno di questi elementi era in vita con una propria esistenza individuale. Tzjolkovskij considerava gli atomi e i loro componenti come immortali, e “perciò la materia decaduta si rinnova ancora una volta e riproduce la vita, una vita che è ancora più perfetta, secondo la legge del progresso. Così l’intero universo è vivo e dappertutto si trova la base per l’intelligenza, se non la sua espressione in esseri superiori”.
Per Tzjolkovskij ogni sostanza ha una sensibilità – la capacità di percepire il piacevole e lo spiacevole – di grado diverso. La sensibilità si riduce dall’uomo all’animale fino alla materia, ma non scompare mai del tutto, perché non vi è alcun chiaro confine tra i corpi viventi e quelli non viventi. “Qual è la differenza tra le cose viventi e le cose che sono morte?”, si domanda Tzjolkovskij. “Si può veramente dire che nelle cose che sono morte ci sono atomi diversi, o che le collisioni tra gli atomi sono differenti?”. Per Tzjolkovskij “nell’universo, sia in quello vivente che in quello inerte, noi vediamo sempre la medesima cosa: movimento di sostanze e fenomeni fisico-chimici. Pertanto non può esistere alcuna differenza ‘qualitativa’ tra ciò che è vivo e ciò che è morto. Tutto vive, ma in modi diversi. Le differenze sono solo in quantità, forma o intensità. I termini di ‘vivo’ e di ‘morto’ sono solo condizionali”.
Nel suo saggio intitolato “Sinossi di filosofia cosmica”Tzjolkovskij sostiene che “non c’è nessuna sostanza che non possa assumere la forma di un essere vivente. L’essere più semplice è l’atomo. Pertanto l’intero universo è vivo e non vi è nulla in esso che non sia vita. Ma il livello di sensibilità è infinitamente vario e dipende dalle combinazioni degli atomi”.
L’‘io’ delle creature senzienti risiede in questi atomi indistruttibili e passeggeri – “mondi all’interno di mondi”, complessi come il sistema solare – e può trovare un’altra espressione o reincarnazione in ogni nuova combinazione di queste primordiali unità. “La morte è solo la distruzione del cervello come l’unione di una data organizzazione di atomi”. Quando un uomo ‘muore’, dice Tzjolkovskij, gli atomi del suo particolare regno si disperdono e formano nuove connessioni in altri corpi, creando così nuovi regni. In altre parole, dopo la morte del cervello, l’identità degli individui come una particolare organizzazione di atomi va distrutta, ma gli atomi stessi rimangono in vita, rendendo la morte solo un temporaneo occultamento della vita, perché gli atomi alla fine proseguono e diventano parte di un altro essere e queste “nuove organizzazioni razionali di atomi possono concretizzarsi in forme di maggiore o minore densità, anche in esseri quasi immateriali, in epoche infinitamente lontane”.
Considerando l’universo – e l’uomo in particolare – come un complesso regno di atomi immortali, Tzjolkovskij giunse a considerare la morte solo come un’illusione dovuta alla debolezza della mente umana. Dato che l’esistenza dell’atomo e della materia inorganica non è segnata dalla memoria o dal tempo, non ci può essere un inizio o una fine alla loro esistenza, quindi neanche nessuna ‘morte’, così come comunemente intesa. Essi si fondono, da una vecchia vita, in una nuova vita “soggettiva, ininterrotta e felice”. Secondo Tzjolkovskij, questa percezione dell’universo avrebbe portato gioia assoluta all’umanità, perché “il cosmo contiene solo gioia, soddisfazione, perfezione e verità”. La ‘morte’ quindi non esiste perché i singoli atomi non muoiono; muore solo il particolare regno in cui esistevano e che ha cessato di funzionare.
Mosso anche da queste considerazioni panpsichiste, Tzjolkovskij si spingeva fino ad interrogarsi sui limiti e l’essenza del libero arbitrio: “Siamo dipendenti dalla volontà e controllati dal Cosmo. Non c’è nessuna volontà assoluta – siamo marionette, pupazzi meccanici, macchine, personaggi del cinema”. E ancora, ormai vecchio, guardando a ritroso alla storia della sua esistenza individuale: “Ho visto nella mia vita una sorta di destino, il controllo di forze superiori. Qualcosa di misterioso, una fede in qualcosa di imperscrutabile – collegata con Cristo e ai principi primi – era miscelata con la mia visione puramente materialistica delle cose. Nonostante il fatto di essere immerso nello spirito del tempo, il materialismo, nello stesso momento c’era qualcosa d’incomprensibile che coesisteva con quello spirito e si agitava cupamente dentro di me”.
L’‘io’ delle creature senzienti risiede in questi atomi indistruttibili e passeggeri – “mondi all’interno di mondi”, complessi come il sistema solare – e può trovare un’altra espressione o reincarnazione in ogni nuova combinazione di queste primordiali unità. “La morte è solo la distruzione del cervello come l’unione di una data organizzazione di atomi”. Quando un uomo ‘muore’, dice Tzjolkovskij, gli atomi del suo particolare regno si disperdono e formano nuove connessioni in altri corpi, creando così nuovi regni. In altre parole, dopo la morte del cervello, l’identità degli individui come una particolare organizzazione di atomi va distrutta, ma gli atomi stessi rimangono in vita, rendendo la morte solo un temporaneo occultamento della vita, perché gli atomi alla fine proseguono e diventano parte di un altro essere e queste “nuove organizzazioni razionali di atomi possono concretizzarsi in forme di maggiore o minore densità, anche in esseri quasi immateriali, in epoche infinitamente lontane”.
Considerando l’universo – e l’uomo in particolare – come un complesso regno di atomi immortali, Tzjolkovskij giunse a considerare la morte solo come un’illusione dovuta alla debolezza della mente umana. Dato che l’esistenza dell’atomo e della materia inorganica non è segnata dalla memoria o dal tempo, non ci può essere un inizio o una fine alla loro esistenza, quindi neanche nessuna ‘morte’, così come comunemente intesa. Essi si fondono, da una vecchia vita, in una nuova vita “soggettiva, ininterrotta e felice”. Secondo Tzjolkovskij, questa percezione dell’universo avrebbe portato gioia assoluta all’umanità, perché “il cosmo contiene solo gioia, soddisfazione, perfezione e verità”. La ‘morte’ quindi non esiste perché i singoli atomi non muoiono; muore solo il particolare regno in cui esistevano e che ha cessato di funzionare.
Mosso anche da queste considerazioni panpsichiste, Tzjolkovskij si spingeva fino ad interrogarsi sui limiti e l’essenza del libero arbitrio: “Siamo dipendenti dalla volontà e controllati dal Cosmo. Non c’è nessuna volontà assoluta – siamo marionette, pupazzi meccanici, macchine, personaggi del cinema”. E ancora, ormai vecchio, guardando a ritroso alla storia della sua esistenza individuale: “Ho visto nella mia vita una sorta di destino, il controllo di forze superiori. Qualcosa di misterioso, una fede in qualcosa di imperscrutabile – collegata con Cristo e ai principi primi – era miscelata con la mia visione puramente materialistica delle cose. Nonostante il fatto di essere immerso nello spirito del tempo, il materialismo, nello stesso momento c’era qualcosa d’incomprensibile che coesisteva con quello spirito e si agitava cupamente dentro di me”.
Tzjolkovskij non escludeva la presenza di esseri supremi ed onnipotenti in cielo, ‘divini’, infinitamente più intelligenti degli uomini e potenzialmente capaci di condizionarne la vita. Dalle premesse del monismo e del panpsichismo, e da quello che sapeva di astronomia e altre scienze, Tzjolkovskij arrivò alla conclusione dell’inevitabile esistenza d’intelligenze extraterrestri nell’universo, che potrebbero senz’altro aver sviluppato forme più alte e perfette di vita: “Milioni di miliardi di pianeti esistono da tanto tempo, pertanto i loro animali hanno raggiunto una maturità che noi raggiungeremo in milioni di anni della nostra futura vita sulla Terra. Questa maturità si manifesta con un’intelligenza perfetta, con una comprensione profonda della natura, e da un potere tecnologico che permette a questi abitanti del cosmo di accedere ai pianeti dell’universo”.
Interrogandosi sulle intelligenze extraterrestri, Tzjolkovskij arrivò ad anticipare il paradosso di Fermi – “Dove sono tutti quanti? Se ci sono così tante civiltà evolute, perché non abbiamo ancora ricevuto prove di vita extraterrestre come trasmissioni di segnali radio, sonde o navi spaziali?” – e alla fine arrivò alla sua personale soluzione che, se non siamo ancora entrati in contatto con delle intelligenze superiori, è perché l’umanità ha la potenzialità di sviluppare – in autonomia – forme di vita originali e più elevate che possono interessare anche i nostri vicini galattici; in altre parole l’umanità sarebbe stata messa da parte come una riserva d’intelligenza al fine di consentire alla nostra specie di evolversi verso la perfezione e quindi di portare qualcosa di unico alla comunità cosmica delle intelligenze extraterrestri. “Perché gli esseri dei pianeti felici non si sono degnati di venire qua giù? Perché non hanno pietà di noi e ci sostituiscono con esseri superiori, perché non ci distruggono in modo che possiamo risorgere nella loro perfezione? (…) Se non si fossero aspettati niente di alto livello, non ci avrebbero tormentati per così tanto tempo. Evidentemente, c’è la speranza che qualcosa di fruttuoso si svilupperà grazie a noi. Loro conoscono in modo superiore. Noi dubitiamo, ma loro sanno. Siamo in grado di portare un nuovo e meraviglioso flusso di vita che rinnova ed integra la loro esistenza già perfetta”.
Questa soluzione al paradosso di Fermi di Tzjolkovskij affondava nel suo ottimismo – caratteristica comune a tutti i cosmisti – circa le capacità evolutive della specie umana. La gente di oggi, secondo Tzjolkovskij, era ancora immatura, e l’umanità stava affrontando un periodo di transizione. Era convinto che gli uomini dovessero attivamente dirigere la propria evoluzione biologica per rendere le persone indipendenti dalla natura e potenzialmente immortali. Il futuro sviluppo dell’umanità era strettamente legato alla capacità di attuare un programma eugenetico in grado di far aumentare il tasso di nascita degli uomini dotati di un altissimo grado d’intelligenza, i geni, a cui dovevano essere affidate le redine del progresso umano. Queste idee furono sviluppate da Tzjolkovskij nel suo libro “Dolore e geni”. “Un gran numero di uomini di genio, che hanno spinto l’umanità verso la conoscenza e la felicità, è vissuto in mezzo a noi in tempi diversi! In ogni momento della vita della Terra ci sono uomini meravigliosi, il grande tesoro del pianeta. Tanti di loro sono stati dimenticati, o morti nell’oscurità, senza aver compiuto la loro benefica missione! L’ordine futuro delle cose sulla Terra sarà di farla finita con questa calamità, con questo spreco incommensurabile, e gli uomini più utili e perfetti saranno posti a capo dei governi”.
Pertanto, per Tzjolkovskij, ogni città ed ogni villaggio avrebbero dovuto predisporre le case migliori per il matrimonio e la procreazione degli uomini più talentuosi tra i due sessi, mentre agli esseri umani meno dotati sarebbe stato vietato di procreare. In questo modo, in un paio di generazioni, sarebbe aumentata rapidamente la quota dei geni e dei talenti.
La Terra sarebbe così stata in grado di istituire un sistema sociale felice, con l’unità e l’associazione universale dell’umanità, la fine della guerra, lo sviluppo della scienza e della tecnologia, cambiando radicalmente l’ambiente ed abolendo le catastrofi, controllando la natura ed eliminando le sofferenze umane come esseri mortali, raggiungendo la felicità per tutti.
A questa nuova ‘razza’ di uomini, migliorata attraverso la selezione artificiale spetterebbe il compito di portare a conclusione il processo di conquista del sistema solare e della galassia; fino a quando l’intero universo sarebbe popolato solo da gente felice e perfetta.
Ma il processo di ‘perfezionamento’ della razza umana non avrebbe mai conosciuto una conclusione definitiva. Per Tzjolkovskij “non c’è fine alla vita, alla ragione e alla perfezione del genere umano. Il suo progresso è eterno”.
Interrogandosi sulle intelligenze extraterrestri, Tzjolkovskij arrivò ad anticipare il paradosso di Fermi – “Dove sono tutti quanti? Se ci sono così tante civiltà evolute, perché non abbiamo ancora ricevuto prove di vita extraterrestre come trasmissioni di segnali radio, sonde o navi spaziali?” – e alla fine arrivò alla sua personale soluzione che, se non siamo ancora entrati in contatto con delle intelligenze superiori, è perché l’umanità ha la potenzialità di sviluppare – in autonomia – forme di vita originali e più elevate che possono interessare anche i nostri vicini galattici; in altre parole l’umanità sarebbe stata messa da parte come una riserva d’intelligenza al fine di consentire alla nostra specie di evolversi verso la perfezione e quindi di portare qualcosa di unico alla comunità cosmica delle intelligenze extraterrestri. “Perché gli esseri dei pianeti felici non si sono degnati di venire qua giù? Perché non hanno pietà di noi e ci sostituiscono con esseri superiori, perché non ci distruggono in modo che possiamo risorgere nella loro perfezione? (…) Se non si fossero aspettati niente di alto livello, non ci avrebbero tormentati per così tanto tempo. Evidentemente, c’è la speranza che qualcosa di fruttuoso si svilupperà grazie a noi. Loro conoscono in modo superiore. Noi dubitiamo, ma loro sanno. Siamo in grado di portare un nuovo e meraviglioso flusso di vita che rinnova ed integra la loro esistenza già perfetta”.
Questa soluzione al paradosso di Fermi di Tzjolkovskij affondava nel suo ottimismo – caratteristica comune a tutti i cosmisti – circa le capacità evolutive della specie umana. La gente di oggi, secondo Tzjolkovskij, era ancora immatura, e l’umanità stava affrontando un periodo di transizione. Era convinto che gli uomini dovessero attivamente dirigere la propria evoluzione biologica per rendere le persone indipendenti dalla natura e potenzialmente immortali. Il futuro sviluppo dell’umanità era strettamente legato alla capacità di attuare un programma eugenetico in grado di far aumentare il tasso di nascita degli uomini dotati di un altissimo grado d’intelligenza, i geni, a cui dovevano essere affidate le redine del progresso umano. Queste idee furono sviluppate da Tzjolkovskij nel suo libro “Dolore e geni”. “Un gran numero di uomini di genio, che hanno spinto l’umanità verso la conoscenza e la felicità, è vissuto in mezzo a noi in tempi diversi! In ogni momento della vita della Terra ci sono uomini meravigliosi, il grande tesoro del pianeta. Tanti di loro sono stati dimenticati, o morti nell’oscurità, senza aver compiuto la loro benefica missione! L’ordine futuro delle cose sulla Terra sarà di farla finita con questa calamità, con questo spreco incommensurabile, e gli uomini più utili e perfetti saranno posti a capo dei governi”.
Pertanto, per Tzjolkovskij, ogni città ed ogni villaggio avrebbero dovuto predisporre le case migliori per il matrimonio e la procreazione degli uomini più talentuosi tra i due sessi, mentre agli esseri umani meno dotati sarebbe stato vietato di procreare. In questo modo, in un paio di generazioni, sarebbe aumentata rapidamente la quota dei geni e dei talenti.
La Terra sarebbe così stata in grado di istituire un sistema sociale felice, con l’unità e l’associazione universale dell’umanità, la fine della guerra, lo sviluppo della scienza e della tecnologia, cambiando radicalmente l’ambiente ed abolendo le catastrofi, controllando la natura ed eliminando le sofferenze umane come esseri mortali, raggiungendo la felicità per tutti.
A questa nuova ‘razza’ di uomini, migliorata attraverso la selezione artificiale spetterebbe il compito di portare a conclusione il processo di conquista del sistema solare e della galassia; fino a quando l’intero universo sarebbe popolato solo da gente felice e perfetta.
Ma il processo di ‘perfezionamento’ della razza umana non avrebbe mai conosciuto una conclusione definitiva. Per Tzjolkovskij “non c’è fine alla vita, alla ragione e alla perfezione del genere umano. Il suo progresso è eterno”.
***
“Per tutta la vita ho sognato che, grazie al mio lavoro, l’umanità avrebbe progredito almeno un po”; così disse Tzjolkovskij verso la fine dei suoi giorni sulla Terra. Oggi possiamo dire che il suo sogno s’è sicuramente avverato: grazie al suo lavoro filosofico e scientifico l’umanità ha posto le basi per incominciare ad avverare il suo sogno più recondito, l’esplorazione e la conquista dell’universo; un esito ineluttabile di un percorso storico che ha visto l’uomo diventare sempre più consapevole e responsabile del proprio destino cosmico o – per usare la terminologia di Vladimir Vernadskij – la naturale conseguenza del passaggio dalla biosfera alla noosfera.
4. Vladimir Vernadskij
“La noosfera è un nuovo fenomeno geologico nel nostro pianeta. In essa l’uomo è divenuto per la prima volta la più importante forza geologica. Egli può e deve ricostruire con il proprio lavoro e il proprio pensiero l’ambiente in cui vive, ristrutturarlo e riedificarlo in modo radicalmente diverso rispetto a ciò che era prima. Di fronte a lui si aprono possibilità creative sempre più estese. E può darsi che la generazione di mio nipote riesca ad avvicinarsi alla piena fioritura di queste possibilità”.
Vernadskij: una vita d’amore per la scienza e per il sapere
Vladimir Ivanovich Vernadskij è nato nel 1863 a San Pietroburgo ed è morto a Mosca il 6 gennaio del 1945. E’ stato geochimico e mineralogista, ed è considerato tra i fondatori della geochimica e della biogeochimica. Come scienziato si è occupato attivamente di radiogeologia di cui riconobbe, tra i primi, la grande importanza e di cristallografia. Si occupò anche di storia del pensiero scientifico e d’epistemologia. E i suoi interessi – conosceva quindici lingue – spaziavano dalla chimica alla medicina, dalla filosofia alla letteratura. Vernadskij è però oggi noto soprattutto per essere stato il primo ad avere scientificamente sviluppato il concetto di biosfera. Quest’idea, negli scorsi decenni, è stata ampiamente diffusa – ma anche fortemente distorta e strumentalizzata – dai movimenti verdi, mentre veniva nel contempo accantonata non solo l’impostazione rigorosamente scientifica con la quale Vernadskij l’aveva concettualizzata, ma soprattutto veniva dimenticato di citare l’altro fondamentale pensiero di Vernadskij – strettamente connesso alla biosfera – quello della noosfera. Il concetto di noosfera pone Vernadskij e la sua opera scientifica all’interno della corrente cosmista; come vedremo, infatti, in quest’idea si condensa la sua interpretazione sul ruolo storico dell’uomo, destinato a diventare, attraverso l’uso del pensiero scientifico e degli strumenti tecnologici, l’artefice del destino del pianeta, proiettato verso l’esplorazione e la conquista degli spazi cosmici.
Vernadskij cominciò a frequentare l’università di San Pietroburgo alla fine del 1870. In quest’università subì soprattutto il fascino e l’influenza di due docenti che operavano all’interno della facoltà di fisica-matematica, Vasilij Vasil’eivc Dokucaev e Dmitrij Ivanovic Mendeleev, dei quale Vernadskij ricorderà così gli insegnamenti: “Le lezioni di molti professori – in primo luogo quelle di Mendeleev, Beketov, Dokucaev – aprirono davanti ai nostri occhi un mondo del tutto nuovo, e ci indussero a gettarci a capofitto, con grande passione e con tutte le nostre energie, nel lavoro scientifico, al quale negli anni precedenti eravamo stati preparati in modo così incompleto e poco sistematico. (…) Mendeleev aveva la straordinaria capacità di tratteggiare in modo chiaro e particolarmente attraente, appropriato e forte le sterminate e praticamente infinite frontiere della conoscenza esatta, il loro significato e la loro incidenza nella storia e nello sviluppo dell’umanità e di far risaltare in rapporto a esse la totale mancanza di consistenza e inutilità della formazione ginnasiale, che ci aveva oppresso e soffocato nei lunghi anni della nostra infanzia ed adolescenza. Le sue lezioni avevano su di noi l’effetto della liberazione da una morsa e ci introducevano in un nuovo, straordinario mondo: il clima che si respirava in quell’aula 7, sempre gremitissima, dove Mendeleev teneva i suoi corsi, era tale da stimolare le più profonde e riposte aspirazioni della personalità umana verso la conoscenza e la sua applicazione attiva e pratica e da indurre molti di noi a giungere a conclusioni logiche e ad assumere posizioni del tutto inattese anche per noi stessi e lontane dai nostri rispettivi punti di partenza”.
Vladimir Ivanovich Vernadskij è nato nel 1863 a San Pietroburgo ed è morto a Mosca il 6 gennaio del 1945. E’ stato geochimico e mineralogista, ed è considerato tra i fondatori della geochimica e della biogeochimica. Come scienziato si è occupato attivamente di radiogeologia di cui riconobbe, tra i primi, la grande importanza e di cristallografia. Si occupò anche di storia del pensiero scientifico e d’epistemologia. E i suoi interessi – conosceva quindici lingue – spaziavano dalla chimica alla medicina, dalla filosofia alla letteratura. Vernadskij è però oggi noto soprattutto per essere stato il primo ad avere scientificamente sviluppato il concetto di biosfera. Quest’idea, negli scorsi decenni, è stata ampiamente diffusa – ma anche fortemente distorta e strumentalizzata – dai movimenti verdi, mentre veniva nel contempo accantonata non solo l’impostazione rigorosamente scientifica con la quale Vernadskij l’aveva concettualizzata, ma soprattutto veniva dimenticato di citare l’altro fondamentale pensiero di Vernadskij – strettamente connesso alla biosfera – quello della noosfera. Il concetto di noosfera pone Vernadskij e la sua opera scientifica all’interno della corrente cosmista; come vedremo, infatti, in quest’idea si condensa la sua interpretazione sul ruolo storico dell’uomo, destinato a diventare, attraverso l’uso del pensiero scientifico e degli strumenti tecnologici, l’artefice del destino del pianeta, proiettato verso l’esplorazione e la conquista degli spazi cosmici.
Vernadskij cominciò a frequentare l’università di San Pietroburgo alla fine del 1870. In quest’università subì soprattutto il fascino e l’influenza di due docenti che operavano all’interno della facoltà di fisica-matematica, Vasilij Vasil’eivc Dokucaev e Dmitrij Ivanovic Mendeleev, dei quale Vernadskij ricorderà così gli insegnamenti: “Le lezioni di molti professori – in primo luogo quelle di Mendeleev, Beketov, Dokucaev – aprirono davanti ai nostri occhi un mondo del tutto nuovo, e ci indussero a gettarci a capofitto, con grande passione e con tutte le nostre energie, nel lavoro scientifico, al quale negli anni precedenti eravamo stati preparati in modo così incompleto e poco sistematico. (…) Mendeleev aveva la straordinaria capacità di tratteggiare in modo chiaro e particolarmente attraente, appropriato e forte le sterminate e praticamente infinite frontiere della conoscenza esatta, il loro significato e la loro incidenza nella storia e nello sviluppo dell’umanità e di far risaltare in rapporto a esse la totale mancanza di consistenza e inutilità della formazione ginnasiale, che ci aveva oppresso e soffocato nei lunghi anni della nostra infanzia ed adolescenza. Le sue lezioni avevano su di noi l’effetto della liberazione da una morsa e ci introducevano in un nuovo, straordinario mondo: il clima che si respirava in quell’aula 7, sempre gremitissima, dove Mendeleev teneva i suoi corsi, era tale da stimolare le più profonde e riposte aspirazioni della personalità umana verso la conoscenza e la sua applicazione attiva e pratica e da indurre molti di noi a giungere a conclusioni logiche e ad assumere posizioni del tutto inattese anche per noi stessi e lontane dai nostri rispettivi punti di partenza”.
Nel giovane studente Vernadskij si faceva sentire fortissima la sete di conoscenza e sapere. In una lettera scritta negli anni universitari scriveva: “Non c’è nulla di più forte e intenso del desiderio di sapere, della forza del dubbio: sai, quando nella conoscenza dei fatti ti spingi sino a chiederti ‘perché, per quale ragione?’, a queste domande devi a tutti i costi trovare una risposta e una spiegazione; in un modo o nell’altro, ai problemi che stanno alla base di esse devi riuscire a dare una soluzione, qualunque sia. E questa ricerca e questa brama sono il fondamento di ogni attività scientifica”.
Spinto da questa sete di conoscenza Vernadskij prenderà la laurea in scienze naturali nel 1886. Poco dopo divenne curatore della collezione mineralogica dell’università, dato che inizialmente concentrò i suoi lavori nel settore mineralogico, dove svolse studi molto dettagliati sugli alluminosilicati e fu il primo a descriverne correttamente la loro chimica e la loro struttura, che costituisce la base di molti altri minerali. Negli anni seguenti fu pioniere nella geochimica, la misurazione e lo studio della distribuzione e della migrazione degli elementi chimici e degli isotopi nella crosta terrestre; a questo scopo raccolse dati dettagliati sugli strati della crosta, descrivendone la migrazione degli atomi, cercando di spiegare la presenza di certi elementi chimici in queste croste, e in generale studiando la formazione dei composti chimici sotto l’influenza dei processi geologici.
Nel 1898 divenne infine docente di mineralogia e cristallografia all’università di Mosca, dove restò in carica fino al 1911. La sua attenzione intanto si andava concentrando sui minerali radioattivi; dal 1908 cominciò ad intraprendere un grande lavoro di organizzazione di spedizioni di ricerca in giro per la Russia, l’Europa e l’Asia e nel 1909 istituì a Mosca un laboratorio radiologico.
Vernadskij è stato uno dei primi scienziati a riconoscere l’enorme potenziale della radioattività come fonte di energia termica, ed è stato anche uno dei primi ad ipotizzare come l’accumulo, a lungo termine, del calore dovuto alla radioattività fosse una forza trainante di molti processi geochimici. Negli anni successivi darà vita all’Istituto del Radio, modellato su quello dei coniugi Curie di Parigi e al primo ciclotrone dell’URSS, su cui Igor Kurchatov e altre figure di spicco del programma della bomba atomica sovietica avrebbero conseguito la loro formazione iniziale.
La prima guerra mondiale influì in modo decisivo sul personale lavoro di scienziato di Vernadskij, che ricorda come “essa abbia in particolare radicalmente sconvolto la mia concezione geologica del mondo. Fu proprio l’atmosfera di quella guerra, infatti, a spingermi a una visione della natura, nuova per me e anche per i contemporanei, in quanto totalmente dimenticata, a una visione a un tempo geochimica e biogeochimica, che comprendeva sia la materia vivente sia quella inerte e le considera a partire da un unico punto di vista”.
Dal 1915 Vernadskij fu il presidente della ‘Commissione per lo studio delle forze produttive naturali della Russia’, un gruppo di lavoro che diede un enorme contributo all’esplorazione delle risorse minerali della Russia: “Questa Commissione”, ricorda Vernadskij, “ha avuto un ruolo cruciale nel periodo critico della prima guerra mondiale: in piena guerra, infatti l’Accademia delle Scienze dovette prendere atto di un fatto totalmente inatteso, e cioè che nella Russia zarista non si disponeva di dati precisi su ciò che ora si chiama la materia prima strategica, per cui fummo costretti a raccogliere in tutta fretta dati sparsi qua e là e a porre rapidamente e alla bell’è meglio rimedio a queste lacune della nostra conoscenza. Applicando un approccio geochimico e biogeochimico allo studio dei fenomeni geologici procedemmo a far rientrare tutta la natura circostante in un quadro complessivo considerato sotto l’aspetto atomico. Ciò, senza che io allora me ne rendessi conto, coincideva con quello che ora, a posteriori, si è pienamente manifestato come il tratto caratteristico della scienza del XX secolo, ciò che la distingue da quella dei secoli passati. Il nostro è infatti il secolo dell’atomismo scientifico”.
Spinto da questa sete di conoscenza Vernadskij prenderà la laurea in scienze naturali nel 1886. Poco dopo divenne curatore della collezione mineralogica dell’università, dato che inizialmente concentrò i suoi lavori nel settore mineralogico, dove svolse studi molto dettagliati sugli alluminosilicati e fu il primo a descriverne correttamente la loro chimica e la loro struttura, che costituisce la base di molti altri minerali. Negli anni seguenti fu pioniere nella geochimica, la misurazione e lo studio della distribuzione e della migrazione degli elementi chimici e degli isotopi nella crosta terrestre; a questo scopo raccolse dati dettagliati sugli strati della crosta, descrivendone la migrazione degli atomi, cercando di spiegare la presenza di certi elementi chimici in queste croste, e in generale studiando la formazione dei composti chimici sotto l’influenza dei processi geologici.
Nel 1898 divenne infine docente di mineralogia e cristallografia all’università di Mosca, dove restò in carica fino al 1911. La sua attenzione intanto si andava concentrando sui minerali radioattivi; dal 1908 cominciò ad intraprendere un grande lavoro di organizzazione di spedizioni di ricerca in giro per la Russia, l’Europa e l’Asia e nel 1909 istituì a Mosca un laboratorio radiologico.
Vernadskij è stato uno dei primi scienziati a riconoscere l’enorme potenziale della radioattività come fonte di energia termica, ed è stato anche uno dei primi ad ipotizzare come l’accumulo, a lungo termine, del calore dovuto alla radioattività fosse una forza trainante di molti processi geochimici. Negli anni successivi darà vita all’Istituto del Radio, modellato su quello dei coniugi Curie di Parigi e al primo ciclotrone dell’URSS, su cui Igor Kurchatov e altre figure di spicco del programma della bomba atomica sovietica avrebbero conseguito la loro formazione iniziale.
La prima guerra mondiale influì in modo decisivo sul personale lavoro di scienziato di Vernadskij, che ricorda come “essa abbia in particolare radicalmente sconvolto la mia concezione geologica del mondo. Fu proprio l’atmosfera di quella guerra, infatti, a spingermi a una visione della natura, nuova per me e anche per i contemporanei, in quanto totalmente dimenticata, a una visione a un tempo geochimica e biogeochimica, che comprendeva sia la materia vivente sia quella inerte e le considera a partire da un unico punto di vista”.
Dal 1915 Vernadskij fu il presidente della ‘Commissione per lo studio delle forze produttive naturali della Russia’, un gruppo di lavoro che diede un enorme contributo all’esplorazione delle risorse minerali della Russia: “Questa Commissione”, ricorda Vernadskij, “ha avuto un ruolo cruciale nel periodo critico della prima guerra mondiale: in piena guerra, infatti l’Accademia delle Scienze dovette prendere atto di un fatto totalmente inatteso, e cioè che nella Russia zarista non si disponeva di dati precisi su ciò che ora si chiama la materia prima strategica, per cui fummo costretti a raccogliere in tutta fretta dati sparsi qua e là e a porre rapidamente e alla bell’è meglio rimedio a queste lacune della nostra conoscenza. Applicando un approccio geochimico e biogeochimico allo studio dei fenomeni geologici procedemmo a far rientrare tutta la natura circostante in un quadro complessivo considerato sotto l’aspetto atomico. Ciò, senza che io allora me ne rendessi conto, coincideva con quello che ora, a posteriori, si è pienamente manifestato come il tratto caratteristico della scienza del XX secolo, ciò che la distingue da quella dei secoli passati. Il nostro è infatti il secolo dell’atomismo scientifico”.
Più tardi, negli anni della guerra civile russa, Vernadskij fuggì nelle proprietà di famiglia in Ucraina. Qui, nel 1918, fu il fondatore e il primo presidente dell’Accademia Ucraina delle Scienze di Kiev (1918) lavorando a stretto contatto con l’Università Tauride in Crimea.
Nel 1921 tornò a San Pietroburgo e cominciò a studiare i meteoriti e la polvere cosmica. Nel periodo 1922-1926 lavorò spesso all’estero, a Praga e a Parigi, tenendo conferenze alla Sorbona, lavorando presso il Museo di Storia Naturale e all’Istituto Curie; fu a Parigi che in quegli anni uscì, in francese, la sua prima opera fondamentale: ‘Geochimica’.
Nel 1926 uscì il suo libro più noto ‘La Biosfera’, nel quale Vernadskij, da un punto di vista planetario e globale – olistico – studiò gli effetti che la massa totale degli organismi viventi avevano sull’ambiente, esaminando i contributi dei processi vitali nell’atmosfera e sulla chimica della crosta terrestre, arrivando alla conclusione che non esisteva, sulla Terra, forza chimica più attiva, forte e costante di quella che era esercitata dalla materia vivente presa nella sua totalità. Così scriveva Vernadskij nella sua prefazione al libro: “In tutta la letteratura geologica manca un saggio organico sulla biosfera, considerata nella sua interezza come manifestazione necessaria di un meccanismo planetario della crosta terrestre. La stessa esistenza della biosfera quale prodotto di leggi ben definite non viene presa di solito in considerazione, la vita sulla Terra viene considerata come un fenomeno casuale e di conseguenza le nostre concezioni scientifiche disconoscono l’influenza della vita sulla continua evoluzione dei fenomeni terrestri; non riconoscono cioè il carattere non casuale dello sviluppo della vita sulla Terra e della formazione sulla superficie del pianeta, ai confini con il suo ambiente cosmico, di un involucro particolare impregnato di vita, la biosfera”.
Dal 1927, fino alla sua morte, Vernadskij fondò e diresse il laboratorio biogeochimico dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, dove sarà il maestro di un’intera galassia di geochimici sovietici.
Durante gli anni Venti e Trenta mantenne strette relazioni e scambi con Otto Hahn, Lise Meitner, e Arthur Sommerfield in Germania, Frederick Soddy a Montreal, e con i coniugi Curie di Parigi.
Anche se Vernadskij mal sopportava le ingerenze e le limitazioni dello stato sovietico nel campo scientifico e il materialismo dialettico elevato a dogma tanto quanto l’ateismo di stato, non venne mai meno il suo appoggio alle aspirazioni internazionaliste e progressiste dello stato dei Soviet e il suo lavoro nel rafforzamento e nella difesa della nazione. A testimonianza di ciò fu l’impegno profuso nella ricerca dello sviluppo dell’energia atomica. Nell’estate del 1940 su sua iniziativa, cominciò la ricerca dell’uranio per l’energia nucleare anche se, a causa dello scoppio della guerra, fu costretto ad evacuare in Kazaksthan. Dopo che venne a sapere che gli USA avevano avviato un programma di sviluppo della bomba atomica, Vernadskij formò una commissione di lavoro con due dei suoi più stretti collaboratori e contribuì alla formazione del Comitato Uranio, che negli anni seguenti avrebbe tracciato il corso del programma atomico sovietico. La malattia e la vecchiaia – Vernadskij era allora ottantenne – non gli avrebbero permesso di acquisire un ruolo importante nello sviluppo della bomba, anche se era spesso consultato su numerosi aspetti del programma. Il suo ruolo di pioniere nel campo gli avrebbe in seguito conferito il titolo di ‘padre del programma nucleare sovietico’. Vernadskij mise però in guardia da un uso distorto del potere dell’uomo sull’atomo; già nel 1938 poteva lanciare una delle prime messe in guardia circa il cattivo uso dell’energia atomica: “Ben presto l’uomo avrà la potenza atomica nelle sue mani. Questa è una fonte di energia che gli darà la possibilità di costruire la sua vita proprio come lo vuole. Sarà in grado di usare questa forza per scopi buoni e non per auto-distruzione?”.
Nel 1943, in occasione delle celebrazioni per il suo 80° compleanno, ‘per il lavoro intrapreso a lungo termine nel campo della scienza e della tecnologia’ fu insignito del Premio Stalin di primo grado e di una somma di 200.000 rubli; la metà fu da lui destinata al sostentamento degli sforzi bellici nazionali. Nell’occasione scrisse una nota a Stalin: “Caro Joseph Vissarionovich, chiedo che 100.000 rubli del premio che ho ricevuto e a voi intitolato, siano indirizzati alle esigenze della difesa, ovunque lo riteniate necessario. La nostra causa è giusta, e in questo momento coincide spontaneamente con la comparsa della Noosfera – un nuovo stato del settore della vita, la biosfera – l’inizio di un processo storico in cui la mente umana diventa un’enorme forza geologica planetaria”.
Nel 1921 tornò a San Pietroburgo e cominciò a studiare i meteoriti e la polvere cosmica. Nel periodo 1922-1926 lavorò spesso all’estero, a Praga e a Parigi, tenendo conferenze alla Sorbona, lavorando presso il Museo di Storia Naturale e all’Istituto Curie; fu a Parigi che in quegli anni uscì, in francese, la sua prima opera fondamentale: ‘Geochimica’.
Nel 1926 uscì il suo libro più noto ‘La Biosfera’, nel quale Vernadskij, da un punto di vista planetario e globale – olistico – studiò gli effetti che la massa totale degli organismi viventi avevano sull’ambiente, esaminando i contributi dei processi vitali nell’atmosfera e sulla chimica della crosta terrestre, arrivando alla conclusione che non esisteva, sulla Terra, forza chimica più attiva, forte e costante di quella che era esercitata dalla materia vivente presa nella sua totalità. Così scriveva Vernadskij nella sua prefazione al libro: “In tutta la letteratura geologica manca un saggio organico sulla biosfera, considerata nella sua interezza come manifestazione necessaria di un meccanismo planetario della crosta terrestre. La stessa esistenza della biosfera quale prodotto di leggi ben definite non viene presa di solito in considerazione, la vita sulla Terra viene considerata come un fenomeno casuale e di conseguenza le nostre concezioni scientifiche disconoscono l’influenza della vita sulla continua evoluzione dei fenomeni terrestri; non riconoscono cioè il carattere non casuale dello sviluppo della vita sulla Terra e della formazione sulla superficie del pianeta, ai confini con il suo ambiente cosmico, di un involucro particolare impregnato di vita, la biosfera”.
Dal 1927, fino alla sua morte, Vernadskij fondò e diresse il laboratorio biogeochimico dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, dove sarà il maestro di un’intera galassia di geochimici sovietici.
Durante gli anni Venti e Trenta mantenne strette relazioni e scambi con Otto Hahn, Lise Meitner, e Arthur Sommerfield in Germania, Frederick Soddy a Montreal, e con i coniugi Curie di Parigi.
Anche se Vernadskij mal sopportava le ingerenze e le limitazioni dello stato sovietico nel campo scientifico e il materialismo dialettico elevato a dogma tanto quanto l’ateismo di stato, non venne mai meno il suo appoggio alle aspirazioni internazionaliste e progressiste dello stato dei Soviet e il suo lavoro nel rafforzamento e nella difesa della nazione. A testimonianza di ciò fu l’impegno profuso nella ricerca dello sviluppo dell’energia atomica. Nell’estate del 1940 su sua iniziativa, cominciò la ricerca dell’uranio per l’energia nucleare anche se, a causa dello scoppio della guerra, fu costretto ad evacuare in Kazaksthan. Dopo che venne a sapere che gli USA avevano avviato un programma di sviluppo della bomba atomica, Vernadskij formò una commissione di lavoro con due dei suoi più stretti collaboratori e contribuì alla formazione del Comitato Uranio, che negli anni seguenti avrebbe tracciato il corso del programma atomico sovietico. La malattia e la vecchiaia – Vernadskij era allora ottantenne – non gli avrebbero permesso di acquisire un ruolo importante nello sviluppo della bomba, anche se era spesso consultato su numerosi aspetti del programma. Il suo ruolo di pioniere nel campo gli avrebbe in seguito conferito il titolo di ‘padre del programma nucleare sovietico’. Vernadskij mise però in guardia da un uso distorto del potere dell’uomo sull’atomo; già nel 1938 poteva lanciare una delle prime messe in guardia circa il cattivo uso dell’energia atomica: “Ben presto l’uomo avrà la potenza atomica nelle sue mani. Questa è una fonte di energia che gli darà la possibilità di costruire la sua vita proprio come lo vuole. Sarà in grado di usare questa forza per scopi buoni e non per auto-distruzione?”.
Nel 1943, in occasione delle celebrazioni per il suo 80° compleanno, ‘per il lavoro intrapreso a lungo termine nel campo della scienza e della tecnologia’ fu insignito del Premio Stalin di primo grado e di una somma di 200.000 rubli; la metà fu da lui destinata al sostentamento degli sforzi bellici nazionali. Nell’occasione scrisse una nota a Stalin: “Caro Joseph Vissarionovich, chiedo che 100.000 rubli del premio che ho ricevuto e a voi intitolato, siano indirizzati alle esigenze della difesa, ovunque lo riteniate necessario. La nostra causa è giusta, e in questo momento coincide spontaneamente con la comparsa della Noosfera – un nuovo stato del settore della vita, la biosfera – l’inizio di un processo storico in cui la mente umana diventa un’enorme forza geologica planetaria”.
L’uomo nella biosfera, piccolo ma determinante
Per Vernadskij gli organismi viventi – la ‘materia vivente’ – sono indissolubilmente legati all’ambiente in cui vivono. Così anche l’uomo, come gli altri corpi naturali viventi, è intimamente legato alla specifica pellicola geologica esterna che riveste la Terra, la biosfera, che si differenzia dagli altri suoi involucri proprio perché è caratterizzata dalla presenza della materia vivente. La biosfera ha pertanto dei limiti – misurabili in chilometri sopra e sotto il livello del geoide – superati i quali non si riscontra più la presenza della materia vivente. Ma questi confini sono dinamici e mutano nel tempo, soprattutto grazie all’azione dell’uomo e ai progressi della tecnologia, “e siccome la vita dell’uomo è inseparabile da quella degli altri organismi – insetti, piante, microbi – insieme all’uomo è l’intera materia vivente che dilata i propri confini”.
Nella biosfera la materia vivente occupa – in peso ed in volume – una piccolissima percentuale rispetto a quella inerte, eppure sotto il profilo geologico essa è la forza di maggiore entità e significato nella biosfera, in quanto determina la maggior parte dei processi che vi si svolgono ed è causa di un’ininterrotta corrente bidirezionale biogenica di atomi – tramite la respirazione, l’alimentazione, la riproduzione, etc – verso la materia inerte. La biosfera è infatti contraddistinta da questo incessante scambio di atomi tra la materia vivente e quella priva di vita ed è l’unico involucro della terra nel quale penetrano anche l’energia e le radiazioni cosmiche che ne condizionano l’organizzazione interna.
Nella biosfera un ruolo centrale spetta pertanto alla materia vivente, che nel corso del tempo geologico cresce di forza e quindi nella capacità di incidere sulla materia inerte e sulla biosfera stessa. Questo è dovuto alla peculiarità della materia vivente di avere una proprietà di evoluzione plastica, di mutare ed adattarsi ai cambiamenti. La sua crescita, l’evoluzione delle specie, ha un enorme riflesso sull’ambiente circostante, sulla materia inerte e su tutta la biosfera. “La materia vivente sprigiona una quantità di energia libera, quale non è dato riscontrare in nessun altro involucro terrestre. Si tratta di energia biogeochimica che interessa l’intera biosfera e costituisce l’elemento determinante della sua storia. Essa provoca e muta di continuo, soprattutto per ciò che concerne la sua intensità, la migrazione degli elementi chimici, che costituiscono la biosfera, e determina la sua funzione geologica”.
Per Vernadskij gli organismi viventi – la ‘materia vivente’ – sono indissolubilmente legati all’ambiente in cui vivono. Così anche l’uomo, come gli altri corpi naturali viventi, è intimamente legato alla specifica pellicola geologica esterna che riveste la Terra, la biosfera, che si differenzia dagli altri suoi involucri proprio perché è caratterizzata dalla presenza della materia vivente. La biosfera ha pertanto dei limiti – misurabili in chilometri sopra e sotto il livello del geoide – superati i quali non si riscontra più la presenza della materia vivente. Ma questi confini sono dinamici e mutano nel tempo, soprattutto grazie all’azione dell’uomo e ai progressi della tecnologia, “e siccome la vita dell’uomo è inseparabile da quella degli altri organismi – insetti, piante, microbi – insieme all’uomo è l’intera materia vivente che dilata i propri confini”.
Nella biosfera la materia vivente occupa – in peso ed in volume – una piccolissima percentuale rispetto a quella inerte, eppure sotto il profilo geologico essa è la forza di maggiore entità e significato nella biosfera, in quanto determina la maggior parte dei processi che vi si svolgono ed è causa di un’ininterrotta corrente bidirezionale biogenica di atomi – tramite la respirazione, l’alimentazione, la riproduzione, etc – verso la materia inerte. La biosfera è infatti contraddistinta da questo incessante scambio di atomi tra la materia vivente e quella priva di vita ed è l’unico involucro della terra nel quale penetrano anche l’energia e le radiazioni cosmiche che ne condizionano l’organizzazione interna.
Nella biosfera un ruolo centrale spetta pertanto alla materia vivente, che nel corso del tempo geologico cresce di forza e quindi nella capacità di incidere sulla materia inerte e sulla biosfera stessa. Questo è dovuto alla peculiarità della materia vivente di avere una proprietà di evoluzione plastica, di mutare ed adattarsi ai cambiamenti. La sua crescita, l’evoluzione delle specie, ha un enorme riflesso sull’ambiente circostante, sulla materia inerte e su tutta la biosfera. “La materia vivente sprigiona una quantità di energia libera, quale non è dato riscontrare in nessun altro involucro terrestre. Si tratta di energia biogeochimica che interessa l’intera biosfera e costituisce l’elemento determinante della sua storia. Essa provoca e muta di continuo, soprattutto per ciò che concerne la sua intensità, la migrazione degli elementi chimici, che costituiscono la biosfera, e determina la sua funzione geologica”.
All’interno della materia vivente è l’umanità la specie dotata dell’energia di modificazione maggiore, di una vera e propria forza geologica: “Entro la materia vivente, nelle ultime decine di millenni, è comparsa ex novo e si è quindi sviluppata rapidamente, incrementando via via la sua incidenza, una nuova forma di energia, legata all’attività vivente delle società, costituite da individui del genere Homo e di altri a lui vicini (ominidi). Questa nuova forma di energia, che può essere chiamata energia della cultura umana o energia biochimica culturale, non è esclusiva dell’uomo, ma appartiene a tutti gli organismi viventi. In questi ultimi, però, essa è presente in modo pressoché insignificante rispetto all’energia biogeochimica consueta”. L’energia biochimica culturale è legata all’attività psichica degli organismi e allo sviluppo di un apparato nervoso centrale – il cervello – che ha infine dato vita, nell’uomo, alla ragione.
L’energia biogeochimica culturale umana “con l’andare del tempo cresce e aumenta fino ad assumere il ruolo di primo piano. Questo incremento è forse da porre in relazione con lo sviluppo della ragione, processo, ovviamente, molto lento (se effettivamente ha luogo), ma dipende certamente e soprattutto dall’affinamento e dall’approfondimento del suo uso, a sua volta favorito dal mutamento cosciente della situazione sociale e, in particolare, dalla crescita della conoscenza scientifica. (…) La ragione è una struttura sociale complessa, costruita sia per l’uomo di oggi, sia per quello dell’era paleolitica sullo stesso substrato nervoso, ma in una ben diversa situazione sociale, che si è venuta via via evolvendo nello spazio-tempo”.
La ragione dell’uomo è per Vernadskij il prodotto – passeggero e non definitivo – “di uno sviluppo durato presumibilmente centinaia di migliaia di anni, ma ha potuto rivelarsi come forza geologica soltanto a partire dal momento in cui l’Homo Sapiens ha cominciato ad incidere con il suo lavoro culturale sulla biosfera”. Il primo atto, di cui siamo consapevoli, in cui l’Homo Sapiens sprigiona la sua energia culturale è quando prende il controllo diretto di una forza della natura, padroneggiando il fuoco; quello fu il primo atto ‘scientifico’ dell’uomo, perché la scienza per Vernadskij – forse influenzato dal celebre motto “Im Anfang war die Tat” di Wolfgang Goethe, che considerava non un semplice scrittore ma un vero e proprio scienziato – era fondamentalmente caratterizzata dall’azione.
L’energia biogeochimica culturale umana “con l’andare del tempo cresce e aumenta fino ad assumere il ruolo di primo piano. Questo incremento è forse da porre in relazione con lo sviluppo della ragione, processo, ovviamente, molto lento (se effettivamente ha luogo), ma dipende certamente e soprattutto dall’affinamento e dall’approfondimento del suo uso, a sua volta favorito dal mutamento cosciente della situazione sociale e, in particolare, dalla crescita della conoscenza scientifica. (…) La ragione è una struttura sociale complessa, costruita sia per l’uomo di oggi, sia per quello dell’era paleolitica sullo stesso substrato nervoso, ma in una ben diversa situazione sociale, che si è venuta via via evolvendo nello spazio-tempo”.
La ragione dell’uomo è per Vernadskij il prodotto – passeggero e non definitivo – “di uno sviluppo durato presumibilmente centinaia di migliaia di anni, ma ha potuto rivelarsi come forza geologica soltanto a partire dal momento in cui l’Homo Sapiens ha cominciato ad incidere con il suo lavoro culturale sulla biosfera”. Il primo atto, di cui siamo consapevoli, in cui l’Homo Sapiens sprigiona la sua energia culturale è quando prende il controllo diretto di una forza della natura, padroneggiando il fuoco; quello fu il primo atto ‘scientifico’ dell’uomo, perché la scienza per Vernadskij – forse influenzato dal celebre motto “Im Anfang war die Tat” di Wolfgang Goethe, che considerava non un semplice scrittore ma un vero e proprio scienziato – era fondamentalmente caratterizzata dall’azione.
E il prodotto peculiare della ragione umana è il pensiero scientifico, che opera nella biosfera, e nel corso del proprio sviluppo la trasforma.
La forza e l’espansione del pensiero scientifico
Vernadskij attribuisce un’enorme importanza alla conoscenza scientifica: “La sua comparsa nella storia del pianeta, che è iniziata in modo massiccio e intensivo (considerata dal punto di vista del tempo storico) alcune decine di migliaia di anni fa, è un avvenimento di enorme importanza nella storia del nostro pianeta e, con tutta evidenza, non appare qualcosa di casuale”.
Il pensiero scientifico dell’umanità ha avuto, negli scorsi millenni, dei centri di sviluppo ed irradiazione importanti in epoche e luoghi diversi, come quello mediterraneo-ellenico, cinese, indiano e – fortemente isolato rispetto agli altri – il centro dell’Oceano Pacifico dal versante americano. Questi centri hanno conosciuto fortune alterne, ma dopo diversi secoli la maggior parte di loro ha finito per spegnersi di fronte alla reazione di forze contrarie, soffocati dai dogmatismi religiosi e filosofici che hanno tolto linfa vitale all’ambiente sociale entro il quale erano nati, indispensabile per la loro fioritura e la loro sopravvivenza.
Nessuno di questi centri, neanche quello esplosivo greco-ellenico, riuscì ad imprimere una forza propulsiva alla conoscenza scientifica in qualche modo paragonabile a quella sviluppatasi a cavallo tra XIX e XX secolo.
Vernadskij attribuisce un’enorme importanza alla conoscenza scientifica: “La sua comparsa nella storia del pianeta, che è iniziata in modo massiccio e intensivo (considerata dal punto di vista del tempo storico) alcune decine di migliaia di anni fa, è un avvenimento di enorme importanza nella storia del nostro pianeta e, con tutta evidenza, non appare qualcosa di casuale”.
Il pensiero scientifico dell’umanità ha avuto, negli scorsi millenni, dei centri di sviluppo ed irradiazione importanti in epoche e luoghi diversi, come quello mediterraneo-ellenico, cinese, indiano e – fortemente isolato rispetto agli altri – il centro dell’Oceano Pacifico dal versante americano. Questi centri hanno conosciuto fortune alterne, ma dopo diversi secoli la maggior parte di loro ha finito per spegnersi di fronte alla reazione di forze contrarie, soffocati dai dogmatismi religiosi e filosofici che hanno tolto linfa vitale all’ambiente sociale entro il quale erano nati, indispensabile per la loro fioritura e la loro sopravvivenza.
Nessuno di questi centri, neanche quello esplosivo greco-ellenico, riuscì ad imprimere una forza propulsiva alla conoscenza scientifica in qualche modo paragonabile a quella sviluppatasi a cavallo tra XIX e XX secolo.
Per Vernadskij infatti, “ciò che caratterizza il movimento scientifico del XX secolo da quello che ha dato luogo alla scienza ellenica, è la sua organizzazione scientifica, concetto generale che può essere disaggregato, mettendone in luce le seguenti componenti: il ritmo – in primo luogo; l’ampiezza della superficie interessata, che oggi praticamente comprende l’intero pianeta; la profondità dei mutamenti registrati a proposito delle concezioni della realtà che la scienza ha assunto come proprio oggetto di indagine; la potenza del cambiamento che la ricerca scientifica ha prodotto sul pianeta”.
La nuova scienza del XX secolo ha aperto nuovi ambiti di conoscenza, dallo spazio-tempo infinitamente grande (gli spazi cosmici) a quello infinitamente piccolo (le forze atomiche), ponendo il pensiero dell’uomo di fronte a campi radicalmente nuovi ed enigmatici, che potrebbero fungere da linfa vitale e nutrimento per il pensiero filosofico, altrimenti in crisi e fuori dai tempi.
La scienza del XX secolo s’interroga e guarda anche in modo più distaccato e scientifico alla ragione e all’uomo stesso; dice Vernadskij: “L’Homo Sapiens non è il compimento del creato – non è il ‘coronamento della creazione’ – e non è neppure il detentore di un apparato di pensiero compiuto e definito. Egli è invece l’anello intermedio di una lunga catena di sostanze, che hanno un passato e avranno senza dubbio un futuro. I suoi antenati erano dotati di un apparato di pensiero meno perfezionato del suo, così come, presumibilmente, i suoi discendenti potranno invece disporre di un qualcosa di meglio. Le tribolazioni della conoscenza che noi stiamo attualmente attraversando sono la manifestazione visibile non di una crisi della scienza, come ritengono taluni, ma di un lento miglioramento dei metodi fondamentali di cui essa si serve, miglioramento che avviene tra mille difficoltà. E’ in corso un lavoro enorme in questo senso, mai sperimentato prima”.
L’inizio di questa impetuosa ondata scientifica – che investe tutta la vita dell’umanità, dalle sue espressioni filosofiche a quelle religiose – sono rintracciate da Vernadskij nel biennio 1895-1897, quando vengono scoperti i fenomeni legati all’atomo e alla sua instabilità, che consente di spiegare sia i raggi X sia gli elettroni e la loro origine, dando luogo alla fisica del XX secolo. In seguito a quella scoperta – e nel clima scientifico contraddistinto dal progressivo logoramento delle vecchie concezioni e dall’affermarsi di quelle atomistiche da cui sorse anche la teoria della relatività di Albert Einstein – si registra un’accumulazione e un’esplosione scientifica senza precedenti, e ancora più importante, la metodologia e l’etica della scienza si diffondono universalmente a livello planetario, dando forma ad una scienza e ad una cultura scientifica veramente universale.
Per Vernadskij una delle caratteristiche principali della scienza, che la distingue nettamente dalla filosofia e dalla religione – all’interno della quale inserisce anche l’ateismo – è quella di costituire “qualcosa di unitario, e di essere la medesima in tutti i tempi, per tutti gli ambienti sociali e le formazioni statali”. A differenza delle religioni e delle filosofie che sono necessariamente molteplici, la scienza ha la caratteristica di essere una ed omogenea per tutta l’umanità. Questo risultato è frutto di millenni di lotte, vittorie e sconfitte: “A questa conclusione l’umanità è giunta attraverso una dura esperienza storica, poiché sia le religioni, sia le strutture sociali e le formazioni statali per interi millenni hanno cercato, e cercano tuttora, di pervenire a una fittizia unità e di costringere con la forza tutti ad accettare un’unica concezione complessiva del senso e della finalità della vita. Ma in tutta la plurimillenaria storia dell’umanità mai si è riusciti a costruire una simile visione unitaria”.
La nuova scienza del XX secolo ha aperto nuovi ambiti di conoscenza, dallo spazio-tempo infinitamente grande (gli spazi cosmici) a quello infinitamente piccolo (le forze atomiche), ponendo il pensiero dell’uomo di fronte a campi radicalmente nuovi ed enigmatici, che potrebbero fungere da linfa vitale e nutrimento per il pensiero filosofico, altrimenti in crisi e fuori dai tempi.
La scienza del XX secolo s’interroga e guarda anche in modo più distaccato e scientifico alla ragione e all’uomo stesso; dice Vernadskij: “L’Homo Sapiens non è il compimento del creato – non è il ‘coronamento della creazione’ – e non è neppure il detentore di un apparato di pensiero compiuto e definito. Egli è invece l’anello intermedio di una lunga catena di sostanze, che hanno un passato e avranno senza dubbio un futuro. I suoi antenati erano dotati di un apparato di pensiero meno perfezionato del suo, così come, presumibilmente, i suoi discendenti potranno invece disporre di un qualcosa di meglio. Le tribolazioni della conoscenza che noi stiamo attualmente attraversando sono la manifestazione visibile non di una crisi della scienza, come ritengono taluni, ma di un lento miglioramento dei metodi fondamentali di cui essa si serve, miglioramento che avviene tra mille difficoltà. E’ in corso un lavoro enorme in questo senso, mai sperimentato prima”.
L’inizio di questa impetuosa ondata scientifica – che investe tutta la vita dell’umanità, dalle sue espressioni filosofiche a quelle religiose – sono rintracciate da Vernadskij nel biennio 1895-1897, quando vengono scoperti i fenomeni legati all’atomo e alla sua instabilità, che consente di spiegare sia i raggi X sia gli elettroni e la loro origine, dando luogo alla fisica del XX secolo. In seguito a quella scoperta – e nel clima scientifico contraddistinto dal progressivo logoramento delle vecchie concezioni e dall’affermarsi di quelle atomistiche da cui sorse anche la teoria della relatività di Albert Einstein – si registra un’accumulazione e un’esplosione scientifica senza precedenti, e ancora più importante, la metodologia e l’etica della scienza si diffondono universalmente a livello planetario, dando forma ad una scienza e ad una cultura scientifica veramente universale.
Per Vernadskij una delle caratteristiche principali della scienza, che la distingue nettamente dalla filosofia e dalla religione – all’interno della quale inserisce anche l’ateismo – è quella di costituire “qualcosa di unitario, e di essere la medesima in tutti i tempi, per tutti gli ambienti sociali e le formazioni statali”. A differenza delle religioni e delle filosofie che sono necessariamente molteplici, la scienza ha la caratteristica di essere una ed omogenea per tutta l’umanità. Questo risultato è frutto di millenni di lotte, vittorie e sconfitte: “A questa conclusione l’umanità è giunta attraverso una dura esperienza storica, poiché sia le religioni, sia le strutture sociali e le formazioni statali per interi millenni hanno cercato, e cercano tuttora, di pervenire a una fittizia unità e di costringere con la forza tutti ad accettare un’unica concezione complessiva del senso e della finalità della vita. Ma in tutta la plurimillenaria storia dell’umanità mai si è riusciti a costruire una simile visione unitaria”.
La scienza è un fenomeno dinamico in continua evoluzione nelle ipotesi e nelle teorie, ma il suo nocciolo interno, costituito dalla logica, dalla matematica e dall’apparato scientifico dei fatti, presenta un carattere vincolante ed imprescindibile per tutta l’umanità. “Questo carattere universalmente vincolante dei risultati della scienza nel suo campo di pertinenza costituisce il tratto distintivo fondamentale che la differenzia dalla religione e dalla filosofia, le cui conclusioni non hanno invece questa peculiarità”.
La scienza, diffondendosi a livello mondiale, supera i confini e le linee di demarcazione degli stati e delle culture. “Ogni fatto scientifico, ogni osservazione scientifica, indipendentemente da chi li ha prodotti e dal luogo in cui sono stati rilevati o elaborati, vanno a confluire in un unico apparato scientifico, dove vengono classificati e ridotti ad una forma standard, divenendo rapidamente patrimonio comune e oggetto d’attenzione e di valutazione da parte dell’attività critica, della riflessione teorica e del lavoro scientifico nel suo complesso. (…) Gli scienziati dell’area indiana o cinese assumono in generale le medesime premesse in vigore in quella europea: lo stesso riconoscimento della realtà del medesimo cosmo, gli stessi metodi di controllo e di verifica dei concetti, basati non soltanto sull’analisi logica, ma anche e soprattuttto sull’osservazione e sull’esperimento. (…) Per la prima volta una quantità infinita di uomini diversi lavora contemporaneamente e in luoghi diversi, che coincidono praticamente con tutte le aree di insediamento dell’umanità, a un programma comune che ha di mira la creazione di una nuova condizione umana, ed è incentrato sull’attività di ricerca scientifica, sulla riconsiderazione delle concezioni filosofiche e religiose”.
Di fronte a questa espansione senza precedenti del sapere scientifico, ha fatto da contraltare una stagnazione del pensiero religioso e filosofico; i risultati conseguiti da queste branche del pensiero umano non riescono a stare al passo con le conquiste del sapere scientifico; per Vernadskij la religione e la filosofia dovranno necessariamente sforzarsi di adattarsi alla nuova situazione, e le vecchie concezioni essere rielaborate e ricreate; solo allora, assisteremo ad un’esplosione di creatività anche in questi settori.
Vernadskij guarda con grande interesse all’influenza del pensiero filosofico indiano ed orientale sui futuri sviluppi della scienza, e soprattutto quello indiano gli pare particolarmente in sintonia con le scienze della vita e potenzialmente capace di portare un grande contributo creativo al loro sviluppo.
Lo scienziato, per Vernadskij, si deve “appropriare del lavoro di ricognizione e ricerca del filosofo, esserne costantemente al corrente, ma non può per questo dimenticare l’incompletezza dell’indagine filosofica e l’insufficiente precisione con la quale sono definiti i corpi naturali nel dominio di sua pertinenza”. L’unica via maestra per scoprire gli enigmi della natura rimane la dura strada della scienza.
Il pensiero scientifico, con le sue caratteristiche di unità ed omogeneità, ha quindi praticamente esteso la sua sfera d’influenza su tutto il globo. Dovunque nel mondo sorgono centri di ricerca e di elaborazione del sapere scientifico mentre i governi spendono moltissime risorse per favorirne la crescita; questa diffusione planetaria del sapere scientifico è la prima ed indispensabile premessa per il passaggio dalla biosfera alla noosfera.
La scienza, diffondendosi a livello mondiale, supera i confini e le linee di demarcazione degli stati e delle culture. “Ogni fatto scientifico, ogni osservazione scientifica, indipendentemente da chi li ha prodotti e dal luogo in cui sono stati rilevati o elaborati, vanno a confluire in un unico apparato scientifico, dove vengono classificati e ridotti ad una forma standard, divenendo rapidamente patrimonio comune e oggetto d’attenzione e di valutazione da parte dell’attività critica, della riflessione teorica e del lavoro scientifico nel suo complesso. (…) Gli scienziati dell’area indiana o cinese assumono in generale le medesime premesse in vigore in quella europea: lo stesso riconoscimento della realtà del medesimo cosmo, gli stessi metodi di controllo e di verifica dei concetti, basati non soltanto sull’analisi logica, ma anche e soprattuttto sull’osservazione e sull’esperimento. (…) Per la prima volta una quantità infinita di uomini diversi lavora contemporaneamente e in luoghi diversi, che coincidono praticamente con tutte le aree di insediamento dell’umanità, a un programma comune che ha di mira la creazione di una nuova condizione umana, ed è incentrato sull’attività di ricerca scientifica, sulla riconsiderazione delle concezioni filosofiche e religiose”.
Di fronte a questa espansione senza precedenti del sapere scientifico, ha fatto da contraltare una stagnazione del pensiero religioso e filosofico; i risultati conseguiti da queste branche del pensiero umano non riescono a stare al passo con le conquiste del sapere scientifico; per Vernadskij la religione e la filosofia dovranno necessariamente sforzarsi di adattarsi alla nuova situazione, e le vecchie concezioni essere rielaborate e ricreate; solo allora, assisteremo ad un’esplosione di creatività anche in questi settori.
Vernadskij guarda con grande interesse all’influenza del pensiero filosofico indiano ed orientale sui futuri sviluppi della scienza, e soprattutto quello indiano gli pare particolarmente in sintonia con le scienze della vita e potenzialmente capace di portare un grande contributo creativo al loro sviluppo.
Lo scienziato, per Vernadskij, si deve “appropriare del lavoro di ricognizione e ricerca del filosofo, esserne costantemente al corrente, ma non può per questo dimenticare l’incompletezza dell’indagine filosofica e l’insufficiente precisione con la quale sono definiti i corpi naturali nel dominio di sua pertinenza”. L’unica via maestra per scoprire gli enigmi della natura rimane la dura strada della scienza.
Il pensiero scientifico, con le sue caratteristiche di unità ed omogeneità, ha quindi praticamente esteso la sua sfera d’influenza su tutto il globo. Dovunque nel mondo sorgono centri di ricerca e di elaborazione del sapere scientifico mentre i governi spendono moltissime risorse per favorirne la crescita; questa diffusione planetaria del sapere scientifico è la prima ed indispensabile premessa per il passaggio dalla biosfera alla noosfera.
Il passaggio alla noosfera
Attraverso il trascorrere dei secoli e dei millenni la biosfera è gradualmente passata sotto l’influenza sempre più determinante e decisiva dell’uomo. Il fattore geologico decisivo della biosfera è il pensiero scientifico organizzato dell’uomo e del suo lavoro, che stanno determinando il passaggio della biosfera alla noosfera, il regno della mente dell’uomo.
Secondo Vernadskij questo è un processo inevitabile e necessario, un processo naturale le cui radici affondano in tempi remoti e che è stato lungamente preparato attraverso un processo evolutivo la cui durata assomma a centinaia di milioni di anni, che ha visto la formazione del cervello e dell’ambiente sociale nel quale è potuto sorgere il pensiero scientifico, nuova forza geologica che si è formata spontaneamente, come fenomeno naturale, nel corso di alcune decine di migliaia di anni dell’evoluzione più recente e che ha in sé possibilità di sviluppo senza limiti nel corso del tempo.
Il pensiero scientifico è un fattore geologico perché cambiamenti del “tipo di quelli che si sono verificati nella biosfera nel corso delle poche migliaia di anni in relazione con la sua comparsa e la sua crescita e dell’attività sociale dell’umanità non si sono mai registrati in precedenza nell’ambito di essa”.
Negli ultimi cinque secoli si è poi assistito ad un’accelerazione di questa affermazione – unidirezionale e non reversibile, per quanto si possano verificare brusche interruzioni e rallentamenti – del pensiero scientifico, con la crescita del potere d’influenza dell’uomo sulla natura circostante, la sua comprensione sempre più penetrante e la creazione di macchine che crescono in progressione geometrica. “Nel XX secolo, per la prima volta nella storia della Terra l’uomo si è fatto una conoscenza precisa della biosfera ed è riuscito ad abbracciarla tutta quanta con gli occhi della sua mente, completando la carta geografica del pianeta ed insediandosi in tutta la superficie della Terra. L’umanità con la sua vita è diventata un’unità globale. Non c’è neppure un solo pezzetto della Terra, dove l’uomo non potrebbe vivere almeno per un certo tempo, se questo fosse necessario”. Contemporaneamente, grazie ai progressi tecnologici e del pensiero scientifico, si è assistito ad una rivoluzione nel campo delle comunicazioni interplanetarie e dei trasporti, grazie alla radio e alla televisione è possibile comunicare istantaneamente da una parte all’altra del pianeta e grazie ai trasporti aerei ci si muove a velocità di centinaia di km/h.
Attraverso il trascorrere dei secoli e dei millenni la biosfera è gradualmente passata sotto l’influenza sempre più determinante e decisiva dell’uomo. Il fattore geologico decisivo della biosfera è il pensiero scientifico organizzato dell’uomo e del suo lavoro, che stanno determinando il passaggio della biosfera alla noosfera, il regno della mente dell’uomo.
Secondo Vernadskij questo è un processo inevitabile e necessario, un processo naturale le cui radici affondano in tempi remoti e che è stato lungamente preparato attraverso un processo evolutivo la cui durata assomma a centinaia di milioni di anni, che ha visto la formazione del cervello e dell’ambiente sociale nel quale è potuto sorgere il pensiero scientifico, nuova forza geologica che si è formata spontaneamente, come fenomeno naturale, nel corso di alcune decine di migliaia di anni dell’evoluzione più recente e che ha in sé possibilità di sviluppo senza limiti nel corso del tempo.
Il pensiero scientifico è un fattore geologico perché cambiamenti del “tipo di quelli che si sono verificati nella biosfera nel corso delle poche migliaia di anni in relazione con la sua comparsa e la sua crescita e dell’attività sociale dell’umanità non si sono mai registrati in precedenza nell’ambito di essa”.
Negli ultimi cinque secoli si è poi assistito ad un’accelerazione di questa affermazione – unidirezionale e non reversibile, per quanto si possano verificare brusche interruzioni e rallentamenti – del pensiero scientifico, con la crescita del potere d’influenza dell’uomo sulla natura circostante, la sua comprensione sempre più penetrante e la creazione di macchine che crescono in progressione geometrica. “Nel XX secolo, per la prima volta nella storia della Terra l’uomo si è fatto una conoscenza precisa della biosfera ed è riuscito ad abbracciarla tutta quanta con gli occhi della sua mente, completando la carta geografica del pianeta ed insediandosi in tutta la superficie della Terra. L’umanità con la sua vita è diventata un’unità globale. Non c’è neppure un solo pezzetto della Terra, dove l’uomo non potrebbe vivere almeno per un certo tempo, se questo fosse necessario”. Contemporaneamente, grazie ai progressi tecnologici e del pensiero scientifico, si è assistito ad una rivoluzione nel campo delle comunicazioni interplanetarie e dei trasporti, grazie alla radio e alla televisione è possibile comunicare istantaneamente da una parte all’altra del pianeta e grazie ai trasporti aerei ci si muove a velocità di centinaia di km/h.
L’uomo ha cominciato a creare nuovi elementi artificiali mai prima esistiti sulla faccia della Terra: “Quello che una volta era una rarità mineralogica – il ferro allo stato naturale – viene ora prodotto in miliardi di tonnellate. L’alluminio puro non è mai esistito nel nostro pianeta e ora anch’esso viene prodotto in quantità illimitate. La stessa cosa accade per una quantità praticamente infinita di composti chimici artificiali prodotti ex novo. La quantità di questi ultimi crece di continuo. Tutte le risorse strategiche scaturiscono da questi processi di produzione”. Nuove razze di animali e piante, mai prima esistite, nascono per l’iniziativa dell’uomo.
Con quest’aumento senza precedenti del potere umano e delle sue conseguenze sulla biosfera si apre all’uomo un futuro immenso; l’uomo non dovrà usare questo potere a fini autodistruttivi ma dovrà assolutamente aumentare la sua responsabilità e l’attenzione con cui opera e si muove sulla Terra, per preservarne le sue ricchezze naturali. Scrive Vernadskij: “In seguito alla crescita della cultura umana nel XX secolo hanno cominciato a subire mutamenti sempre più netti – sotto l’aspetto chimico e biologico – i mari marginali e parti dell’oceano. L’uomo deve ora prendere tutte le misure necessarie al fine di conservare per le generazioni future le ricchezze marine che non appartengono a nessuno”.
I confini del pianeta appaiono ormai troppo stretti all’uomo del XX secolo e scenari fantascientifici si aprono sul suo orizzonte: “In futuro si presenteranno come possibili anche quelli che oggi appaiono i sogni più fantastici: l’uomo aspira ad uscire dai confini del proprio pianeta e ad entrare nello spazio cosmico, e con tutta probabilità riuscirà a farlo”.
Come si vede Vernadskij era ottimista sul futuro dell’uomo. Anche durante gli orrori della seconda guerra mondiale, di cui fu amaramente testimone, non perse la fiducia nella vittoria del suo paese e nelle sorti progressive dell’umanità. Non era una fiducia riposta ciecamente, ma derivava dalla sua convinzione sull’inevitabilità del processo naturale in corso – del passaggio dalla biosfera alla noosfera – e del trionfo del pensiero scientifico a livello planetario, con tutto quello che questo comportava: l’affermazione degli ideali democratici e delle volontà delle masse popolari, della libertà di ricerca scientifica sciolta dai condizionamenti dei dogmatismi religiosi e filosofici, dell’unità biologica e dell’uguaglianza di tutti gli uomini, della ricostruzione e della riorganizzazione della biosfera negli interessi dell’umanità che pensa liberamente e si organizza a livello mondiale come un unico soggetto.
Con quest’aumento senza precedenti del potere umano e delle sue conseguenze sulla biosfera si apre all’uomo un futuro immenso; l’uomo non dovrà usare questo potere a fini autodistruttivi ma dovrà assolutamente aumentare la sua responsabilità e l’attenzione con cui opera e si muove sulla Terra, per preservarne le sue ricchezze naturali. Scrive Vernadskij: “In seguito alla crescita della cultura umana nel XX secolo hanno cominciato a subire mutamenti sempre più netti – sotto l’aspetto chimico e biologico – i mari marginali e parti dell’oceano. L’uomo deve ora prendere tutte le misure necessarie al fine di conservare per le generazioni future le ricchezze marine che non appartengono a nessuno”.
I confini del pianeta appaiono ormai troppo stretti all’uomo del XX secolo e scenari fantascientifici si aprono sul suo orizzonte: “In futuro si presenteranno come possibili anche quelli che oggi appaiono i sogni più fantastici: l’uomo aspira ad uscire dai confini del proprio pianeta e ad entrare nello spazio cosmico, e con tutta probabilità riuscirà a farlo”.
Come si vede Vernadskij era ottimista sul futuro dell’uomo. Anche durante gli orrori della seconda guerra mondiale, di cui fu amaramente testimone, non perse la fiducia nella vittoria del suo paese e nelle sorti progressive dell’umanità. Non era una fiducia riposta ciecamente, ma derivava dalla sua convinzione sull’inevitabilità del processo naturale in corso – del passaggio dalla biosfera alla noosfera – e del trionfo del pensiero scientifico a livello planetario, con tutto quello che questo comportava: l’affermazione degli ideali democratici e delle volontà delle masse popolari, della libertà di ricerca scientifica sciolta dai condizionamenti dei dogmatismi religiosi e filosofici, dell’unità biologica e dell’uguaglianza di tutti gli uomini, della ricostruzione e della riorganizzazione della biosfera negli interessi dell’umanità che pensa liberamente e si organizza a livello mondiale come un unico soggetto.
Così, nel 1943, due anni prima di morire, Vernadskij potè scrivere: “Ora stiamo attraversando un nuovo cambiamento geologico evolutivo della biosfera: stiamo facendo il nostro ingresso nella noosfera. Questo ingresso coincide con un’epoca travagliata e tragica, segnata profondamente dalle distruzioni della guerra mondiale. La cosa importante, però, è che gli ideali della democrazia siano in sintonia con questo processo geologico spontaneo, con le leggi della natura, e corrispondano alla noosfera. Si può allora guardare al nostro futuro con fiducia. Esso è nelle nostre mani. Non dobbiamo lasciarcelo sfuggire”.
***
Le previsioni ottimistiche di Vernadskij sull’esito del terrificante secondo conflitto mondiale furono esatte, anche se non visse a sufficienza per assistere alle sfilate dell’Armata Rossa sotto al Reichstag.
E non visse a sufficienza per vedere l’esplosione scientifica del secondo dopoguerra, allo sbarco dell’uomo sulla Luna, all’invenzione dei computer e di internet, ma anche al contemporaneo protrarsi dei fratricidi conflitti umani, con gli stati sulla carta ‘democratici’ impegnati a fare la guerra in giro per il mondo contro stati civilizzati e progressisti, in difesa dei propri interessi meramente economici e geopolitici.
La conoscenza del suo pensiero sul passaggio dalla biosfera alla noosfera -sulla forza geologica acquisita dall’uomo e sul valore della scienza – potrebbero indurre sempre più consistenti parti della popolazione mondiale a fermarsi a riflettere sulla direzione che intendono dare al destino della Terra, prima che gli ‘sfugga di mano’.
E non visse a sufficienza per vedere l’esplosione scientifica del secondo dopoguerra, allo sbarco dell’uomo sulla Luna, all’invenzione dei computer e di internet, ma anche al contemporaneo protrarsi dei fratricidi conflitti umani, con gli stati sulla carta ‘democratici’ impegnati a fare la guerra in giro per il mondo contro stati civilizzati e progressisti, in difesa dei propri interessi meramente economici e geopolitici.
La conoscenza del suo pensiero sul passaggio dalla biosfera alla noosfera -sulla forza geologica acquisita dall’uomo e sul valore della scienza – potrebbero indurre sempre più consistenti parti della popolazione mondiale a fermarsi a riflettere sulla direzione che intendono dare al destino della Terra, prima che gli ‘sfugga di mano’.
5. Eredità
L’eredità cosmista è ancora molto forte in Russia; il paese che ha dato i natali ai maggiori cosmisti vanta tuttora un grandissimo numero di scienziati ed intellettuali che procedono su quel solco, tracciato ormai più di un secolo fa. All’interno dell’élite scientifica nazionale – soprattutto nel nocciolo duro dell’Agenzia Spaziale Russa – e nei giovani studenti e ricercatori è ancora molto forte e vivo il richiamo del cosmismo, che ha direttamente o indirettamente influenzato le menti russe più rilevanti del XX secolo.
Nella religione, nel pensiero e nella pratica ortodossa – in qualche modo rinata dopo il crollo dell’URSS – si ritrovano nuovamente mescolati insieme, in varia misura, le aspirazioni del cosmismo con gli afflati spirituali tipici dell’ortodossia russa.
Recentemente lo stesso presidente Vladimir Putin ha ricordato l’importanza del pensiero di Vladimir Vernadskij per l’umanità intera, ordinando imponenti celebrazioni per il 150° anniversario della sua nascita: “All’inizio del XX secolo, il nostro connazionale Vernadskij ha creato una nuova teoria dello spazio, che unisce l’umanità, la noosfera. Questo concetto combina l’interesse dei paesi e delle nazioni, della natura e della società, delle conoscenze scientifiche e della politica statale. In realtà questa teoria è la base per la costruzione del concetto di sviluppo sostenibile”. Lo stesso Putin, lo scorso 12 Aprile – in occasione dell’anniversario dell’impresa di Jurij Gagarin – ha proposto di intitolare a Tzjolkovskij una città che sorgerà ex novo nei pressi del cosmodromo di Vostochnij.
In generale, nel paese, si riscontra un proliferare di iniziative, pubblicazioni e conferenze sul cosmismo, sentito come un vanto nazionale di cui la Russia può andare fiera con il resto del mondo.
Un interessante documentario è stato realizzato recentemente dal britannico George Carey, che è andato in Russia per rintracciare l’eredità dei cosmisti e del cosmismo; s’intitola ‘Bussando alle porte del cielo’, ed è disponibile su Rutube anche se, purtroppo, è solo in lingua inglese:
Nella religione, nel pensiero e nella pratica ortodossa – in qualche modo rinata dopo il crollo dell’URSS – si ritrovano nuovamente mescolati insieme, in varia misura, le aspirazioni del cosmismo con gli afflati spirituali tipici dell’ortodossia russa.
Recentemente lo stesso presidente Vladimir Putin ha ricordato l’importanza del pensiero di Vladimir Vernadskij per l’umanità intera, ordinando imponenti celebrazioni per il 150° anniversario della sua nascita: “All’inizio del XX secolo, il nostro connazionale Vernadskij ha creato una nuova teoria dello spazio, che unisce l’umanità, la noosfera. Questo concetto combina l’interesse dei paesi e delle nazioni, della natura e della società, delle conoscenze scientifiche e della politica statale. In realtà questa teoria è la base per la costruzione del concetto di sviluppo sostenibile”. Lo stesso Putin, lo scorso 12 Aprile – in occasione dell’anniversario dell’impresa di Jurij Gagarin – ha proposto di intitolare a Tzjolkovskij una città che sorgerà ex novo nei pressi del cosmodromo di Vostochnij.
In generale, nel paese, si riscontra un proliferare di iniziative, pubblicazioni e conferenze sul cosmismo, sentito come un vanto nazionale di cui la Russia può andare fiera con il resto del mondo.
Un interessante documentario è stato realizzato recentemente dal britannico George Carey, che è andato in Russia per rintracciare l’eredità dei cosmisti e del cosmismo; s’intitola ‘Bussando alle porte del cielo’, ed è disponibile su Rutube anche se, purtroppo, è solo in lingua inglese:
Accanto ai musei e alle attività divulgative dedicate alle principali figure del cosmismo, in Russia esistono numerose correnti culturali che si rifanno al cosmismo, dai transumanisti agli immortalisti, solo per citarne alcune.
Purtroppo il fatto che la lingua russa sia poco conosciuta in Europa, non permette di apprezzare e seguire a dovere il fermento culturale che contraddistingue ancora questo paese e che lo pone come un faro del cosmismo.
Il cosmismo è comunque una filosofia universale, e come tale lo è anche la sua eredità. Non sorprende quindi di ritrovare richiami al cosmismo anche in altre parti del mondo. Citiamo solo il ‘Manifesto Cosmista’ dello statunitense Ben Goertzel.
Purtroppo il fatto che la lingua russa sia poco conosciuta in Europa, non permette di apprezzare e seguire a dovere il fermento culturale che contraddistingue ancora questo paese e che lo pone come un faro del cosmismo.
Il cosmismo è comunque una filosofia universale, e come tale lo è anche la sua eredità. Non sorprende quindi di ritrovare richiami al cosmismo anche in altre parti del mondo. Citiamo solo il ‘Manifesto Cosmista’ dello statunitense Ben Goertzel.
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Il nuovo millennio si apre davanti a noi; il cosmismo, a più di un secolo dalla morte del suo fondatore Fjodorov, può essere una bussola di riferimento spirituale e d’azione per le nuove generazioni, in un mondo che – tuttora dilaniato da lotte fratricide di carattere militare ed economico – non è ancora riuscito a trovare una ‘causa comune’ sotto le cui bandiere unirsi e poter raggiungere l’unità. Il cosmismo può essere un punto di riferimento ancora più importante per quei giovani che lottano politicamente per un mondo migliore, contro la prepotenza del più forte e la ‘legge’ del profitto capitalista, per la giustizia sociale e per lo sviluppo scientifico dell’umanità, rispettando l’ambiente e le aspirazioni dei popoli, per un socialismo ed un internazionalismo che, facendo tesoro dei propri errori, possano ripresentarsi sulla scena mondiale più forti di prima.
Dal 1945 – anno della morte di Vernadskij – ad oggi, l’uomo è diventato ancora più consapevole – con meraviglia e terrore insieme – del proprio ruolo geologico sul pianeta e dei suoi poteri su di esso. Con il telescopio Hubble è riuscito a fotografare l’origine dell’universo risalente a 15 miliardi anni fa, e le ricerche sui fossili gli testimoniano la straordinarietà della sua storia evolutiva sulla Terra in cui, al termine di un percorso tortuoso, incredibile e lunghissimo, è riuscito a dotarsi di un apparato cerebrale che gli permette – attraverso il pensiero scientifico – di intervenire artificialmente sul proprio corpo ed indirizzarne il percorso di sviluppo. Nuovi campi ed applicazioni del sapere come le biotecnologie, l’ingegneria genetica e l’informatica, le nanotecnologie, l’intelligenza artificiale e la robotica acquisiscono un ruolo sempre più importante aprendogli opportunità inedite e strabilianti. La scienza si diffonde senza sosta a livello planetario e con essa quei valori che il sociologo Robert K. Merton ha efficacemente sintetizzato nell’acronimo Cudos: comunismo delle conoscenze, internazionalismo, disinteresse per il proprio tornaconto, scetticismo organizzato. Cina, India – con le loro filosofie millenarie su cui nutriva tante speranze Vernadskij – Russia, Brasile e le nazioni emergenti, entrano da protagoniste nella storia scientifica del nuovo millennio: il ‘fuoco’ di Tzjolkovskij arde più che mai nei cuori dei taikonauti cinesi.
Ma è anche altrettanto forte la resistenza degli strenui difensori delle formalità dogmatiche di certe religioni e di certe filosofie contro il nuovo stato noosferico della Terra, nel quale l’uomo – grazie agli sviluppi millenari del pensiero scientifico e delle sue capacità tecnologiche – è proiettato in una nuova dimensione, insieme spirituale e materiale, cosmica e creativa.
Hugo de Garis, un ricercatore australiano nel campo delle intelligenze artificali, in un recente libro di science fiction, prospetta un futuro caratterizzato da una forte e sanguinosa contrapposizione tra i ‘Cosmisti’ e i ‘Terrestri’.
Noi siamo più propensi a credere che – in sintonia con l’ottimismo che ha contraddistinto tutti i cosmisti – anche le religioni e le filosofie oggi più immobili e ferocemente ostili, sapranno rielaborare i propri pensieri e le proprie credenze e alla fine conciliarsi con lo spirito noosferico dei tempi, con il cosmismo che potrà fungere da luogo di sintesi tra punti di vista apparentemente divergenti. Questo per una serie di motivi: i dogmatismi, se non accettano di adattarsi e confrontarsi con i cambiamenti in corso, saranno inevitabilmente condannati a scomparire; la visione del mondo del cosmismo accoglie al proprio interno gli afflati spirituali più profondi dell’anima umana mantenendo una mente aperta ai contribui multiformi – religiosi e filosofici – del suo spirito; tutte le credenze – anche quelle che oggi si presentano come più dogmatiche ed inflessibili – sono fatte di uomini in carne ed ossa che non potranno sfuggire al destino cosmico che è iscritto nel proprio DNA, nella propria milionaria storia sulla Terra: evolversi – cadendo e poi rialzandosi – e progredire in eterno, dominare la natura matrigna e diventare creature sempre più perfette, unirsi in armonia e risolvere gli enigmi dell’universo, andare in cielo e ritrovare gli amati parenti e, infine, incontrare il Padre – il Programmatore – ‘faccia a faccia’.
Dal 1945 – anno della morte di Vernadskij – ad oggi, l’uomo è diventato ancora più consapevole – con meraviglia e terrore insieme – del proprio ruolo geologico sul pianeta e dei suoi poteri su di esso. Con il telescopio Hubble è riuscito a fotografare l’origine dell’universo risalente a 15 miliardi anni fa, e le ricerche sui fossili gli testimoniano la straordinarietà della sua storia evolutiva sulla Terra in cui, al termine di un percorso tortuoso, incredibile e lunghissimo, è riuscito a dotarsi di un apparato cerebrale che gli permette – attraverso il pensiero scientifico – di intervenire artificialmente sul proprio corpo ed indirizzarne il percorso di sviluppo. Nuovi campi ed applicazioni del sapere come le biotecnologie, l’ingegneria genetica e l’informatica, le nanotecnologie, l’intelligenza artificiale e la robotica acquisiscono un ruolo sempre più importante aprendogli opportunità inedite e strabilianti. La scienza si diffonde senza sosta a livello planetario e con essa quei valori che il sociologo Robert K. Merton ha efficacemente sintetizzato nell’acronimo Cudos: comunismo delle conoscenze, internazionalismo, disinteresse per il proprio tornaconto, scetticismo organizzato. Cina, India – con le loro filosofie millenarie su cui nutriva tante speranze Vernadskij – Russia, Brasile e le nazioni emergenti, entrano da protagoniste nella storia scientifica del nuovo millennio: il ‘fuoco’ di Tzjolkovskij arde più che mai nei cuori dei taikonauti cinesi.
Ma è anche altrettanto forte la resistenza degli strenui difensori delle formalità dogmatiche di certe religioni e di certe filosofie contro il nuovo stato noosferico della Terra, nel quale l’uomo – grazie agli sviluppi millenari del pensiero scientifico e delle sue capacità tecnologiche – è proiettato in una nuova dimensione, insieme spirituale e materiale, cosmica e creativa.
Hugo de Garis, un ricercatore australiano nel campo delle intelligenze artificali, in un recente libro di science fiction, prospetta un futuro caratterizzato da una forte e sanguinosa contrapposizione tra i ‘Cosmisti’ e i ‘Terrestri’.
Noi siamo più propensi a credere che – in sintonia con l’ottimismo che ha contraddistinto tutti i cosmisti – anche le religioni e le filosofie oggi più immobili e ferocemente ostili, sapranno rielaborare i propri pensieri e le proprie credenze e alla fine conciliarsi con lo spirito noosferico dei tempi, con il cosmismo che potrà fungere da luogo di sintesi tra punti di vista apparentemente divergenti. Questo per una serie di motivi: i dogmatismi, se non accettano di adattarsi e confrontarsi con i cambiamenti in corso, saranno inevitabilmente condannati a scomparire; la visione del mondo del cosmismo accoglie al proprio interno gli afflati spirituali più profondi dell’anima umana mantenendo una mente aperta ai contribui multiformi – religiosi e filosofici – del suo spirito; tutte le credenze – anche quelle che oggi si presentano come più dogmatiche ed inflessibili – sono fatte di uomini in carne ed ossa che non potranno sfuggire al destino cosmico che è iscritto nel proprio DNA, nella propria milionaria storia sulla Terra: evolversi – cadendo e poi rialzandosi – e progredire in eterno, dominare la natura matrigna e diventare creature sempre più perfette, unirsi in armonia e risolvere gli enigmi dell’universo, andare in cielo e ritrovare gli amati parenti e, infine, incontrare il Padre – il Programmatore – ‘faccia a faccia’.
Michele Franceschelli
Fonti
Fonti bibliografiche principali:
-N. F. Fjodorov: “What was man created for?”, Honeyglen, 1990
-K. E. Tzjolkovskij: “Selected Works of Konstantin E. Tzjolkovskij”, University Press of the Pacific Honolulu, Hawaii, 2004
-V. Vernadskij: “Scientific Thought as a Planetary Phenomenon”, Vernadskij Foundation, 1997
Fonti bibliografiche principali:
-N. F. Fjodorov: “What was man created for?”, Honeyglen, 1990
-K. E. Tzjolkovskij: “Selected Works of Konstantin E. Tzjolkovskij”, University Press of the Pacific Honolulu, Hawaii, 2004
-V. Vernadskij: “Scientific Thought as a Planetary Phenomenon”, Vernadskij Foundation, 1997
Fonti multimediali principali:
Regels
Tzjolkovskij
Vernadskij
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Articolo originariamente pubblicato sul giornale on-line 'Stato e Potenza'