giovedì 11 dicembre 2014

Libia: è alle porte un nuovo intervento militare italiano?






Il nuovo ministro degli Esteri italiano Gentiloni, insieme al Segretario di Stato Kerry, a Washington, dove è stata ulteriormente definita nei giorni scorsi la cornice dell’azione dell’Italia in Libia e nel Mediterraneo.



Dopo più di due anni e mezzo di silenzio in cui i mass-media della NATO hanno cercato di nascondere agli italiani i disastri prodotti dall’aggressione alla Libia del 2011 (caos, guerra civile, povertà, immigrazione e terrorismo), verità scomode che avrebbero inchiodato alle loro responsabilità i propugnatori indefessi di quella criminale guerra come Obama, Napolitano e Sarkozy, i media della NATO sono tornati a parlare del disastro libico facendo da sponda al ministro degli Esteri Gentiloni, che in tandem con il Segretario di Stato statunitense Kerry, ha già paventato la possibilità di nuovi interventi militari (di peacekeeping) per lo stato-vassallo Italia, non solo in Libia, ma anche in Siria (Aleppo). Finché l’Italia rimarrà sotto il tallone statunitense, questi interventi saranno non solo inutili, ma anche controproducenti (e criminali), mentre i nostri soldati continueranno a morire e a uccidere per difendere l’interesse altrui. Il caos che sta sconvolgendo la Libia, il Mediterraneo e, ormai, anche l’Europa (vedi l’Ucraina), non si combatte a fianco degli Stati Uniti, ma a fianco delle potenze eurasiatiche, Russia in primis.





Eliminata la Giamahiria e l’asse Tripoli-Roma-Mosca, gli USA hanno scaricato sul vassallo-Italia il compito di stabilizzare l’area. 
L’obiettivo profondo dell’intervento statunitense del 2011 e dei suoi scagnozzi Sarkozy e Cameron – una guerra a cui l’Italia fu costretta ad accodarsi ignobilmente – contro la Giamahiria di Muammar Gheddafi, risulta più comprensibile se si guarda in prospettiva a quello che è successo più tardi in Ucraina, passando per la Siria e la battaglia scoperta per il gasdotto South Stream: gli Stati Uniti, infatti, hanno sempre di più gettato la maschera indicando platealmente nella Russia di Vladimir Putin il nemico numero uno dei loro disegni egemonici planetari, l’unica nazione tra l’altro potenzialmente capace di traghettare il continente europeo fuori dalla presa atlantica prospettandone l’emancipazione in un’Europa unita da Lisbona a Vladivostok.
Il vero obiettivo della guerra alla Libia del 2011 è stato quindi l’eliminazione di un governo che, anche attraverso la triangolazione con Roma (e quindi si capisce meglio perché, dopo Gheddafi, a cadere doveva essere il secondo anello della catena, ovvero Silvio Berlusconi), avrebbe permesso a Mosca di rafforzare ulteriormente la sua posizione geopolitica nel continente europeo e nel Mar Mediterraneo.
Gheddafi opponendosi all’espansione di Africom nel Continente africano, aveva nel contempo offerto alla Russia la possibilità di aprire lungo le coste libiche una base o un punto di attracco e rifornimento per le proprie navi militari, manifestando inoltre il proprio interesse all’acquisto di armi per due miliardi di dollari in aerei Sukhoi-30, sistemi missilistici S300 e Tor-M1, caccia Mig-29, carri armati T-90. Ma la cooperazione non si sarebbe limitata al campo militare, ma si sarebbe estesa anche a quello energetico, firmando un accordo per l’uso dell’energia nucleare a fini pacifici, con l’ingresso di Gazprom, tramite ENI, al 33% nel giacimento di gas e petrolio libico di Elephant e, infine, nella possibilità di varare con i russi un cartello dei Paesi produttori di metano, similmente a quello che unisce i Paesi ricchi di petrolio, l’Opec (1). Tutte mosse che avrebbero contribuito a consolidare ulteriormente la forza della Russia in campo energetico e militare, e attraverso la triangolazione con l’Italia, a saldare ulteriormente le relazioni tra i paesi europei e la nazione di Vladimir Putin.
I padroni di Washington, ottenuto l’obiettivo geopolitico, con la guerra del 2011, di eliminare Gheddafi e le potenzialità della triangolazione Tripoli-Roma-Mosca, rintuzzata così la penetrazione russa nel contesto libico ed europeo, si sono poi “lavati le mani” delle disastrose conseguenze di questo scellerato intervento militare in Libia e hanno anzi poi scaricato sui vassalli, in primis l’Italia, l’incombenza di riparare alle loro malefatte, con il compito di riportarvi l’ordine, secondo ovviamente le direttive di un indirizzo geostrategico atlantico.
Forse anche come forma di ricompensa per la partecipazione obtorto collo al conflitto autolesionista di allora, all’Italia è stato quindi affidato, come luogotenente degli USA e confermandone il ruolo centrale in Libia, il compito di cercare di stabilizzare l’area in senso atlantista.
Ovviamente si tratta di un compito immane perché la guerra del 2011, avendo distrutto un sistema di governo che, argine contro il terrorismo, garantiva ordine e benessere alla maggioranza della popolazione, ha aperto un “vaso di Pandora” che ha scatenato un caos pericolosissimo difficilmente gestibile (similmente a quello che accade in altri paesi dove sono passati gli americani, dalla Somalia all’Iraq) dove milizie, fazioni, tribù, criminali, terroristi, oligarchi e paesi diversi (Turchia, Egitto, Algeria, Arabia Suadita, Qatar, etc) si combattono direttamente o indirettamente appoggiando questo o quel gruppo, con il risultato che alle porte dell’Italia regna il caos; un paese sostanzialmente laico, progredito ed evoluto come quello di Gheddafi, che ha avuto il solo torto di “dire no” agli USA, di essere indipendente e di aprire alla Russia, si ritrova oggi piombato nell’anarchia, trasformato in un hub internazionale del traffico umano (immigrazione) e di armi, e sempre più incubatore di pericolosissimi gruppi terroristi a livello mondiale.
E’ un compito di stabilizzazione immane per l’Italia, che diventa però impossibile se ci s’illude di poter risolvere qualcosa agendo come plenipotenziari delle strategie statunitensi, e non con una propria politica estera autonoma affrancata da quella, catastrofica e (per noi) imprevedibile, degli USA.
L’Italia ha già pagato troppo per questa sua scellerata sudditanza, non si può più permettere di ripetere certi errori. Errori che invece sembra voler ripetere (in sintonia con tutto il governo Berlusconi-Renzi-Napolitano) il neo-ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.





L’azione italiana nel Mediterraneo, al traino di Washington, è destinata al fallimento. Per combattere il caos libico bisogna liberarsi dal giogo statunitense. 
Ripetiamo che secondo noi gli statunitensi, una volta eliminato Gheddafi e la triangolazione Tripoli-Roma-Mosca, una volta che sono stati ulteriormente indeboliti i legami tra Italia e Russia (vedi la fine del South Stream e le sanzioni), consentono, anzi obbligano, il vassallo-Italia a rimettere insieme i cocci del disastro libico (e siriano), il che permette agli USA di risparmiare forze e concentrarsi su altre aree.
L’Italia potrà così cullarsi nell’illusione di essere una nazione capace di difendere quello che è rimasto degli interessi italiani nell’area (per esempio di quelli di un’ ENI sempre più slegata dai russi), concludendo qualche affare e sviluppando un minimo di politica estera che dia lavoro ai dipendenti della Farnesina; ovviamente bisogna fare tutto ciò non uscendo dai binari prefissati dalla Casa Bianca.
Con la nomina a luogotenente USA nel Mar Mediterraneo, l’Italia, già portaerei militare del Pentagono, spera così di trovare compensazione agli esiti catastrofici della guerra del 2011 (a cui ricordiamo, fu costretta a partecipare) e di ritagliarsi un ruolo di subpotenza nel Mare Nostrum. Qualcosa di cui i nostri governi e politicanti si pavoneggiano volentieri appena ne hanno l’occasione, anche se non si capisce bene di cosa ci sia da vantarsi.
Da una parte sarebbe infatti più corretto dire che gli USA hanno scaricato sull’Italia gli oneri di riportare un po’ di ordine nel Mediterraneo, in Libia in particolare, dopo averlo devastato; un ulteriore fardello scaricato sulle spalle degli italiani, come continua ad essere per esempio in Afghanistan.
Dall’altra, la nomea di luogotenente/vassallo USA, in un’area dove la reputazione statunitense è già molto bassa, non aiuta per niente a fare gli interessi della nazione, perché dimostra solamente l’incapacità di un paese ad avere una propria politica esterea autonoma e di essere affidabile sul lungo periodo, come l’Italia ha già ampiamente dimostrato di non essere quando, per esigenze della Casa Bianca, ha tradito Gheddafi, facendo carta straccia del Trattato di Amicizia siglato qualche anno prima con il leader libico o quando, sempre su pressioni di Washington, ha appoggiato sconsideratamente i terroristi dell’opposizione siriana rinnegando i consolidati rapporti con il governo laico e baatista di Assad.
Il quadro atlantico nel quale l’Italia intende muoversi per “stabilizzare” l’area, ormai è evidente, non può essere un indirizzo che coincide veramente con gli interessi italiani (ed europei), anzi, molto spesso è esattamente il contrario.
Seguire un’agenda politica dettata dall’altra parte dell’oceano o, al più, cercare di tenere i piedi in due staffe, non porterà che a soluzioni controproducenti ed effimere, che non risolveranno anzi, peggioreranno, i problemi in Libia, in Siria, come nella nostra nazione.
L’unico modo per cercare di stabilizzare la Libia, la Siria e un Mar Mediterraneo che è sempre di più in fiamme, è quello di affrancarsi immediatamente da una politica estera scritta e pensata a Washington, adottandone un’altra che sia invece autonoma, indipendente e corrispondente agli interessi nazionali, e che contempli quindi un’azione italiana che si muova in sinergia con la Russia, la vera potenza regionale che è necessario coinvolgere per risolvere in modo duraturo i problemi che affliggono l’area, come non a caso hanno fatto e stanno facendo per esempio i paesi più grandi vicini alla Libia come l’Egitto e l’Algeria (non per niente guardati spesso in cagnesco dagli statunitensi) ma che stanno cominciando a fare anche Giordania, Turchia e Iraq.
Vorremmo chiedere al ministro Gentiloni con quale credibilità pensa che l’Italia si possa presentare come interlocutore affidabile e con quale incisività possa agire, se rimane uno stato-vassallo che si muove su ordine di Washington, priva di una stabile e coerente politica confacente ai propri interessi di lungo periodo, che cambia a seconda dei diversi presidenti che si avvicendano alla Casa Bianca, e che deve per forza escludere la Russia dai propri partner ed alleati? O quando, per la Siria, seguendo sempre le indicazioni di Washington, non può intavolare azioni congiunte con Assad o con l’Iran per combattere il terrorismo?
Il nuovo ministro Gentiloni ha già detto che un intervento di terra in Libia, come ad Aleppo (dove le truppe di Assad stanno sgominando i terroristi; bisogna andare a proteggere i terroristi signor Ministro?), ormai non è più escluso; in cornice ONU ovviamente, ci rassicura il neo-ministro che vanta un curriculum da profondo amico degli Stati Uniti.
Ma è chiaro che, rebus sic stantibus, i nostri soldati andrebbero a morire per gli americani, come fanno da più di un decennio in Afghanistan. Un intervento di questo tipo, inserito all’interno di schemi ed esigenze atlantiche, sarebbe solo un fardello e avrebbe solo effetti controproducenti o effimeri per l’interesse nazionale, perché sono gli statunitensi a deciderne il quando, il come e il perché. E ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, dopo il disastro iracheno, dopo il disastro libico, dopo il disastro siriano, e dopo la folle guerra economica e diplomatica alla Russia che ci sta portando in una nuova Guerra Fredda, che le strategie e gli interessi statunitensi collidono con quelli italiani ed europei.
L’Italia dovrebbe quindi emanciparsi e muoversi autonomamente esclusivamente per i suoi interessi anche sullo scenario libico, prima che sia troppo tardi.
E se proprio si vuole parlare di un intervento militare per la Libia e per la Siria, lo si faccia – al contrario di quello che preannuncia Gentiloni – solo se in stretta sinergia con la Russia, con la Siria di Assad, con l’Egitto di Al-Sissi e con l’Algeria di Bouteflika. Tenendo rigorosamente fuori gli statunitensi. Basta con le guerre made in USA e della NATO! Basta con quei mandati ONU che vengono regolarmente violati, manipolati e distorti dall’Occidente!
L’Italia, forse, è ancora in tempo a riparare il caos causato con la criminale guerra del 2011 in Libia, ma deve avere il coraggio di tagliare il cordone ombelicale che la lega a Washington, il prima possibile.
Altrimenti le fiamme della Libia e del Mediterraneo finiranno per bruciare l’Italia stessa.


Michele Franceschelli

Note:
1. cfr. per esempio il paragrafo "L'asse Roma-Mosca-Tripoli" in "Strade, aeroporti, calcio, armi e partecipazioni: ecco le rotte economiche più battute tra Italia e Libia", in cui si riporta: "Gheddafi nel novembre 2008, dopo l'accordo con l'Italia, è stato in visita ufficiale a Mosca. La prima dal 1985, dai tempi dell'Urss. Per fare affari, ovviamente. Sempre nello spirito dell'ex colonia che colonizza grazie ai petrodollari. Simbolicamente, l'occupazione di Gheddafi è cominciata con una tenda da beduino piantata all'interno della cinta del Cremlino, nel giardino Taininski. Tenda che ha ospitato l'illustre ospite nel giardino che domina la Moscova, tra le costruzioni presidenziali e il palazzo riservato alle cerimonie ufficiali. Il Colonnello è stato ricevuto dal presidente (delfino di Putin) Dmitry Medvedev. Gheddafi ha offerto una base d'appoggio per le navi russe nel Mediterraneo e la disponibilità a costruire una centrale nucleare per usi pacifici (in un paese che galleggia sul petrolio) con tecnologia made in Russia. E ha fatto shopping di armamenti per almeno 2 miliardi di dollari: aerei Sukhoi 30, sistemi missilistici S300 e Tor-M1, caccia Mig-29, carri armati T-90". Il Sole 24 ORE, 21 febbraio 2011
cfr. Gli affari con Gheddafi e l'imperialismo (energetico) di Mosca
cfr. Gadafy offers Russia a naval base in Libya
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11 dicembre 2014


Articolo originariamente pubblicato sul giornale on-line 'Stato e Potenza'